Primarie, troppe candidature: e se ci fosse una moratoria?

Le elezioni del 25 e 26 febbraio (con le analisi e i commenti politicisti di queste ore) arrivano come una tempesta sulle Comunali. E interrogano già dalle prossime ore il centrosinistra che si prepara a difficilissime primarie.

LE ELEZIONI – I risultati dicono per esempio che, con i numeri delle Politiche, Gianni Alemanno sarebbe travolto e ci sarebbe, come in tanti hanno osservato, un ballottaggio tra il candidato del centrosinistra e quello del Movimento 5stelle con il rischio di vedere anche nella Capitale uno scenario come quello di Parma, in cui la destra al secondo turno ha votato Pizzarotti. Dicono anche, per esempio, che non ci sono più roccaforti per nessuno, visto che il Movimento 5 Stelle ha avuto un’affermazione fortissima nelle periferie dove ha avuto il suo radicamento la sinistra. Due campanelli d’allarme da non sottovalutare.

LA VIA D’USCITA – Ma dalle tornata elettorale viene fuori anche un altro importante segnale: la vittoria di Nicola Zingaretti alla Regione. Il neogovernatore, che pure tanti anche nel Pd hanno osteggiato, s’è affermato perché ha puntato sul rinnovamento dei candidati (seppure con qualche riciclato di troppo) e la trasparenza, ha praticato la partecipazione, ha proposto un’idea di governo, mettendo in campo credibilità personale e programmi. Si è fatto tesoro di un’esperienza di governo alla Provincia e di un lavoro per la candidatura a sindaco (poi saltata) che comunque era servita a tessere relazioni con la società romana. Sarà davvero un buon governatore, Zingaretti? Si vedrà, a partire dalle scelte che opererà sulla giunta (alcuni nomi che circolano in queste ore lasciano ben sperare, altri proprio no). Quel che è certo è che ha sconfitto la destra spavalda di Francesco Storace, annullato il ruolo politico dei montiani che pure ambivano alla centralità nello scacchiere politico, limitato l’affermazione dei grillini.

LE PRIMARIE – E’ allora il modello Zingaretti la soluzione giusta per il Comune? Forse, ogni elezione ha una storia a sé. Di certo però è destinata al naufragio la strada percorsa in questi mesi, con primarie convocate e rinviate, regole stabilite e subito messe in discussione e soprattutto con il fiorire di candidature a pioggia. Umberto Marroni (Pd), David Sassoli (Pd), Paolo Gentiloni (Pd), Patrizia Prestipino (Pd), Gemma Azuni (Sel), Luigi Nieri (Sel), Paolo Cento (Sel), Alessandro Bianchi (area Pd), Mattia Di Tommaso (Psi): sono questi i candidati al momento alle primarie del centrosinistra. A questi si devono aggiungere Sandro Medici (che sta nell’area che non è riuscita a entrare né in Parlamento né in Consiglio regionale), qualche esperienza di movimento e, forse, il costruttore Alfio Marchini che ha lanciato un’imponente campagna di comunicazione, sta girando la città in lungo e in largo ed è tentato dalle primarie del centrosinistra. C’è poi l’incognita Goffredo Bettini che un giorno sì e l’altro pure attacca il suo partito (ancora il Pd), minaccia di partecipare alle primarie e lavora per la candidatura di Ignazio Marino (Pd).

M5S LEGITTIMATO A GOVERNARE – Un quadro fumoso dentro il quale il centrosinistra già rischiava di riconsegnare la città ad Alemanno e che oggi può avvantaggiare il M5S. Perché sono cambiati gli equilibri e i rapporti di forza, perché il centrosinistra vive un momento di crisi strutturale, perché i grillini adesso sentono di potercela fare. Non solo. Anche perché – cosa non proprio trascurabile – l’offerta di governo che Bersani ha rivolto a Grillo (che venga accettata o no) ha di fatto trasformato il Movimento in una forza legittimata a governare facendo venire meno uno dei principali argomenti contro i 5Stelle.

VERSO QUALI PRIMARIE – Tra pochi giorni (il 7 marzo, ma si lavora a un rinvio) si dovranno presentare le candidature per le primarie del 7 aprile. Un passaggio fondamentale, che certamente può servire a riattivare energie e idee. Eppure un passaggio che, alla luce di questo cambio di fase, rischia di somigliare più a un regolamento di conti interno ai partiti piuttosto che a un momento di partecipazione vera e consapevole. Per rendersene conto basta leggere le sortite liturgiche (alcune anche grottesche) di queste ore.

UNA MORATORIA SULLE CANDIDATURE – Ecco perché oggi, per non correre il rischio di andarsi a schiantare, il centrosinistra farebbe bene a fermarsi e riflettere, ascoltando con attenzione l’ansia e la preoccupazione che si avvertono nel mondo delle associazioni, dei movimenti, nella base dei partiti. Si stabilisca quindi una moratoria delle candidature nel centrosinistra, alle primarie o alle comunali: si riparta da zero, accantonando ambizioni, personalismi, tatticismi, contrasti. Si faccia un passo indietro e si metta a disposizione della città la propria esperienza. Si dia la dimostrazione di avere colto fino in fondo il passaggio che il sistema politico sta attraversando, con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi.

IL NUOVO INIZIO – E subito dopo si riparta. Dalle insufficienze però, non dalla certezza di avere la ricetta in mano. I tempi sono strettissimi, certo. Così come il sacrificio che si chiede è molto pesante. Ma dare un segnale è necessario. Solo allora si decida se e come fare le primarie, che restano il percorso da privilegiare ma che – come hanno dimostrato le Politiche e le Regionali – non sono la soluzione a tutti i mali. Solo allora vecchie o nuove candidature avranno un valore diverso (non è sui nomi questo ragionamento) e la competizione, oltre che sui nomi, sarà finalmente su un’idea di futuro. In questo modo, finalmente, le esperienze che in questi anni hanno fatto vivere la città potranno diventare progetto di governo e il centrosinistra – magari unito, in un punto di equilibrio più avanzato – potrà avviare un percorso davvero innovativo. Roma deve aprire un laboratorio nuovo, diverso nei programmi e nei protagonisti da quello di Rutelli e Veltroni. Deve prendere spunto da Zingaretti e provare ad andare oltre. Se il centrosinistra non saprà trarre insegnamento dalle elezioni appena passate, rischia di confinarsi in un’altra stagione di gloriosa opposizione.

Radio, è crisi a Popolare Roma. Tagli a news, si dimette la direttrice

Radio-popolare-Roma-logo_fullFase di grande difficoltà per l’emittente nata grazie all’accordo tra l’ex centro sociale Brancaleone e il network milanese: cassa integrazione per i lavoratori, tagli di tutti i contratti precari. Porte spalancate per l’intrattenimento, si riduce drasticamente lo spazio per l’informazione. E lascia Marta Bonafoni.

Le dimissioni della direttrice, lo stop a tutti i contratti a tempo determinato e alle collaborazioni, la cassa integrazione al 75% per i dipendenti e il cambio del “suono” con la contrazione drastica dello spazio dedicato all’informazione. E’ crisi a Radio Popolare Roma, l’emittente che in questi anni è stata un punto di riferimento certo per la sinistra romana. Una crisi nera a tal punto che qualunque esito oggi appare possibile. Nel bene e nel male.

L’INFORMAZIONE NEGATA – Gli ascoltatori se ne sono accorti da tempo: il suono di Radio Popolare Roma è cambiato. Da mesi il palinsesto ha ridotto drasticamente lo spazio per l’informazione – che da sempre caratterizza Radio Popolare nel suo “originale” milanese e anche nell’esperienza romana – per spalancare le porte alla musica e all’intrattenimento. Una sorta di tradimento della vocazione informativa della radio che pure è stata capace di raccontare con originalità e apertura i cambiamenti di Roma. Un tradimento frutto delle valutazioni della proprietà di fronte alla crisi economica e all’incertezza del quadro politico (con la conseguente carenza di entrate). Una scelta che pare abbia creato non poche frizioni tra il socio di maggioranza (la cooperativa Impact riconducibile al Brancaleone, il locale romano, ex centro sociale, noto per le serate di musica elettronica) e Radio Popolare di Milano, titolare della minoranza delle quote. E una scelta che ha avuto anche delle conseguenze concrete sulla redazione.

I TAGLI – La società editrice infatti già da alcuni mesi ha operato dei tagli importanti: non sono stati riconfermati infatti i tre contratti a tempo determinato e sono state interrotte tutte le collaborazioni autoriali. La conseguenza, naturalmente, oltre che sui lavoratori è stata quella di impoverire la forza informativa della radio. Che, dal 15 ottobre, ha avuto un altro brusco colpo: i cinque lavoratori a tempo indeterminato sono stati mandati in cassa integrazione al 75%. Che tradotto, vuol dire che la redazione – già ridotta – lavora soltanto il 25% del tempo previsto dal contratto. Il risultato, purtroppo, è che si contrae ancora di più lo spazio per l’informazione. E questa situazione di tensione e difficoltà ha avuto anche altre conseguenze.

LE DIMISSIONI – La più importante è che il 30 ottobre scorso la direttrice editoriale della radio, Marta Bonafoni – la giornalista che aveva contribuito a fondare l’emittente romana e che l’aveva portata a diventare un luogo di sintesi per tante realtà della città – ha inviato la sua lettera di dimissioni al consiglio d’amministrazione della società editrice (con più di un anno di anticipo rispetto al mandato che le era stato assegnato). Dimissioni che saranno operative a partire dalla fine di dicembre e che potrebbero avere delle conseguenze anche sulla trasmissione del mattino della Bonafoni, “due.zero.tredici”, lo spazio che oggi rappresenta il volto informativo della radio, che è stato già ridotto da tre a due ore e che rischia di sparire. Il futuro, insomma, è incerto. Per i palinsesti e anche per il personale: non è difficile immaginare che per contrarre ancora le spese si decida per ulteriori tagli. Decisioni che spetteranno al consiglio di amministrazione che dovrà valutare il da farsi. Sullo sfondo la prossima tornata elettorale – dalle comunali alle politiche – che naturalmente ha un peso. Per gli equilibri interni alla radio. E anche per gli ascoltatori che – senza l’informazione di Radio Popolare Roma – perderebbero una bussola.

Sulle tracce della banda

La Direzione nazionale antimafia nella sua relazione sul 2011 non ha espresso nessun dubbio: non si può parlare a Roma di una nuova banda della Magliana. E certamente non si può dire che la vecchia sia ancora quella di un tempo, non fosse altro che perché molti dei boss sono morti ammazzati.
Eppure mettendo in fila alcuni episodi degli ultimi mesi – e delle ultime settimane – si avvertono ancora forti e inquietanti i fantasmi della banda sulla vita della città.Il primo fatto è, naturalmente, la riesumazione della salma di Enrico “Renatino” De Pedis nella basilica dell’Opus dei di Sant’Apollinare al centro delle indagini per il rapimento della giovane Emanuela Orlandi, che ha visto negli ultimi giorni l’iscrizione nel registro degli indagati anche dell’ex rettore don Piero Vergari.

Ma a questa storia potrebbe essere collegato anche Giuseppe De Tomasi, alias “Sergione”, considerato il telefonista della Banda proprio nel caso Orlandi (anche se lui nega con forza come ha fatto da ultimo minacciando la giornalista di Chi l’ha visto Federica Sciarelli) che, pochi mesi fa, è finito sotto processo per usura ed estorsione.  Ma non c’è soltanto il caso Orlandi. A far discutere la città anche la scoperta che Raffaele Pernasetti, “er Palletta”, uscito dal carcere, faccia il cuoco a Testaccio in una trattoria dove, secondo un pentito, si riuniva la banda. Per non parlare,poi, del cassiere della banda Enrico Nicoletti (uomo che vanta, o millanta, rapporti con la politica e non solo, da Andreotti al Vaticano): per gli investigatori, non è mai uscito dal giro tanto che, nell’ultimo anno, è finito due volte in carcere.

Personaggi vicini alla banda sono stati protagonisti, recentemente, di altri episodi di cronaca. Come Angelo Angelotti, l’uomo che ha indicato De Pedis al killer che lo ha ucciso nel ‘90, assassinato durante una rapina a Spinaceto.  O come Vittorio Di Gangi, “Er Nasca”, considerato vicino a Nicoletti, arrestato con l’accusa di essere il capo di un’organizzazione di usurai. O, ancora, come Fabiola Moretti, la pentita della Magliana, arrestata per droga. Certo, si tratta di vicende scollegate, frutto di dinamiche diverse. Eppure forse non è un caso che sullo sfondo ci sia sempre la banda che ha spadroneggiato a Roma tra gli anni 80 e 90. E neppure che tutto questo torni d’attualità, ciclicamente. Come se la città non avesse risolto mai del tutto i suoi conti con il passato. Anche per questo, forse, è bene guardare dritto in faccia le mafie, senza suggestioni e dietrologie. Oggi, prima che sia troppo tardi.

Mafie straniere e alleati in casa

La città dei patti. Tra la ‘ndrangheta e i sudamericani, tra la camorra e la mafia cinese, tra le gang capitoline e i croati. Roma è uno straordinario crocevia per gli affari delle mafie, nazionali e internazionali. Non è un mistero per nessuno ormai che tra le cosche calabresi e i narcotrafficanti messicani e colombiani si è stabilito un asse di ferro: grazie ai suoi rapporti privilegiati con l’America latina, la ‘ndrangheta importa (praticamente in regime di monopolio) tonnellate di cocaina da immettere sul mercato della Capitale. Il giro d’affari è spaventoso.

Esiste un patto anche tra la camorra e la mafia cinese, che gode di una grandissima liquidità di denaro contante da investire sul mercato. Lo ha detto recentemente il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, lo avevo già sostenuto nel 2006 il colla- boratore di giustizia Salvatore Giuliano, chiamato a deporre in queste settimane in un processo aperto nella Capitale. Il patto appare solido e riguarda il quartiere Esquilino e la zona di San Giovanni. Cinesi e campani, che avrebbero il quartier generale nello studio di un commercialista di piazza Vittorio, gestiscono la compravendita e l’affitto di appartamenti e immobili, controllano le attività commerciali, producono e vendono migliaia e migliaia di capi di merce contraffatta, fanno gigantesche operazioni di riciclaggio. C’è da tenere gli occhi bene aperti. Un patto criminale è stato siglato anche tra i Croati e i clan della mala romana. E si fonda su un imponente e tetro import/export: i carabinieri hanno infatti scoperto che una parte significativa delle armi usate nella Capitale veniva dall’ex Jugoslavia. Era possibile acquistare pistole, mitra, bombe e persino kalashnikov, esplosivo al plastico e missili terra-aria (a “soli” 40mila euro). A capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, un ex calciatore di fama internazionale: l’ex difensore della Stella Rossa di Belgrado e della nazionale jugoslava Jasminko Hasanbasic, finito ad allenare una squadra nata sui campi di Tor di Quinto.

L’elenco delle mafie straniere che fanno affari in città non si chiude qui, ovviamente. La Direzione nazionale antimafia segnala anche le attività dei gruppi serbo-montenegrini, nigeriani, albanesi, rumeni che si occupano soprattutto di droga, prostituzione e rapine. E ci sono i nuovi ricchi che vengono dalla Russia e stanno nei circuiti finanziari e immobiliari più importanti. Ma la mafia a Roma non esiste.

(Mammasantissima, Paese Sera n. 6, Novembre 2011)

Il delegato antimafia rimasto nel cassetto

A Roberto Morrione, grande giornalista, che ha dimostrato il senso della parola libertà. Un riferimento vero per l’antimafia. Già ci manca.

 

«Mi sembra una proposta interessante», dice Gianni Alemanno. Poi aggiunge: «Non la conosco, la voglio approfondire». È il 28 ottobre 2010 e il sindaco risponde così a chi lo interpella sulla proposta di delibera del centrosinistra capitolino (primo firmatario Paolo Masini del Pd) che porta in Campidoglio – finalmente – il tema delle mafie. In tre modi: chiedendo l’istituzione del Delegato alla lotta alle mafie, di un Osservatorio permanente contro le mafie, di un corso di formazione ad hoc per politica e dirigenti del Campidoglio e dei municipi.

Sono passati più di sette mesi da quel 28 ottobre e della proposta del centrosinistra non si sa nulla. È sparita, se- polta in chissà quale polveroso cassetto, «nonostante il regolamento del consiglio comunale all’articolo 52 preveda il parere degli uffici competenti entro 15 giorni e il succes- sivo confronto in Commissione», sostiene l’opposizione. Un ritardo preoccupante, al di là delle norme regolamentari. Il sindaco non deve necessariamente concordare con la proposta: non è certo in discussione la sua autonomia di giudizio. Sarebbe però utile e opportuno capire cosa ne pensa (visto che l’ha giudicata «interessante» e da «approfondi- re») e soprattutto conoscere qual è la strategia antimafie dell’Amministrazione.

Perché l’emergenza è già realtà. La Direzione nazionale antimafia, nell’ultima relazione, descrive Roma come uno «snodo essenziale per tutti gli affari leciti ed illeciti» e spie- ga come i clan nella Capitale acquisiscano «anche a prezzi fuori mercato, immobili, società e attività commerciali nelle quali impiegano i capitali illecitamente acquisiti». Un’atti- vità che funziona proprio perché c’è basso allarme sociale: incomprensibile, visti gli arresti di boss, i sequestri di locali storici, l’aumento dei reati e persino dei fatti di sangue. Di fronte a tutto questo, cosa si segnala dal Campidoglio? Quasi nulla. A proposito dei soldi sporchi, Alemanno dice: «Il prefetto e la Camera di commercio devono costituire una task force per elaborare uno schema di controllo sulle attività economiche che possono risultare sospette». E una delibera di giunta lo autorizza a siglare un accordo con la prefettura. Davvero troppo poco.

(Paese sera, mensile giugno 2011)