#inturné / il diario

19204920_10154987409794191_1493358064_o

IL DEPLIANT DEI CUSCINI, GLI ANTICORPI E LA PUNIZIONE DI BIANCA
Bellaria Igea Marina e Forlì

Anallergico in puro lattice (anatomico, ecologico, rilassante). Piuma d’oca (morbido, soffice, naturale). Ortopedico (ergonomico, terapeutico, riposante). Miglio e farro (permeabile, rinvigorente, rigenerante). Solo miglio (rinfrescante, avvolgente, adattabile). Arrivare in hotel a Rimini è come scartare un regalo. Poggiato sul letto nella mia stanza al terzo piano c’è un depliant, non il solito depliant. È quello dei cuscini. Puoi scegliere quello che vuoi, scrive la direzione con il tono di chi la sa lunga. Leggo e rileggo, ammirato. Provo i cuscini standard, e sono molto comodi. Non me la sento di cambiare: andrò via felice e senza male alla cervicale, ma con il rimpianto di non avere provato la soluzione al miglio e farro.
La presentazione di #Chiaroscuro è annunciata da una lunga intervista al quotidiano Corriere di Romagna dal titolo “La ‘ndrangheta a Roma raccontata da un calabrese che sa di cosa parla”. Qualcuno mi fa notare che non è chiaro se il riferimento è al fatto che sono uno scrittore importante, un esperto di mafie o uno ‘ndranghetista. Tant’è. L’unica cosa certa è che alle 21 sarò al festival “Anticorpi” organizzato dall’Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata (ai miei occhi, in realtà, sono Sara Paci e Barbara Bastianelli del Dig, l’interessante festival sul documentario e il giornalismo televisivo d’inchiesta che si tiene ogni anno d’estate a Riccione). L’appuntamento è nella fredda e azzurrina sala del consiglio comunale di Bellaria Igea Marina. Credo sia la prima presentazione in un luogo istituzionale, certamente è la prima aperta da un politico. Il presidente del consiglio comunale – elegante vestito scuro e improbabile cravatta rosa – tiene un foglio tra le mani. S’è preparato un intervento, vorrebbe essere accolto dall’inno nazionale. Dovrà accontentarsi di una sobria presentazione della brava (nella dedica al libro la definisco “antica”) giornalista Lucia Renati che lo chiama in causa e gli rivolge alcune domande rovinandogli i piani. La serata scorre veloce, e per me piacevole. Merito anche del reading di Dany Greggio e delle incursioni della giovane attrice Cecilia Ricci che, coraggiosa, affronta il dialetto reggino.
La mattina dopo faccio in tempo a fare una passeggiata per il centro di Rimini, scopro che qui si vendono ancora le scarpe Munich (ormai quasi introvabili). Dovrei farlo sapere a Federico Principe, penso. Saluto davanti a un piatto di cappelletti al brodo Angela e Stefano, una coppia di cari amici, e parto per Forlì.
Mi aspettano alla Biblioteca Saffi per una presentazione organizzata dalla consigliera regionale Valentina Ravaioli – che lavora da anni sui temi dell’antimafia – e dall’Associazione “Legalità Bene Comune” – che ha fatto un lavoro importantissimo sulle mafie finanziarie. Forlì è infatti una delle prime città d’Italia per numero di banconote da 500 euro e soprattutto è a un passo da un (ex?) buco nero del sistema bancario mondiale, San Marino. Durante l’incontro, moderato dalla vicepresidente Maria Teresa Vaccari, (di cui deve esserci anche un video integrale) si finisce a parlare – e forse non è un caso – di anticorpi. Gli anticorpi democratici, quelli nati e cresciuti nelle piazze del Primo maggio, racconta fiera una signora seduta in prima fila. Già, gli anticorpi croce e delizia del nostro Paese. Quelli che in passato lo hanno reso forte, quelli che oggi sbandierati ma ormai appassiti rischiano di farlo travolgere dai fatti. E dalle mafie.
Finita la presentazione, scappo in stazione. Salto su un regionale, poi a Bologna su un treno ad alta velocità. Arrivo a Roma che è passata la mezzanotte, stremato dalla stanchezza e dal raffreddore. Entro in casa in punta di piedi – mia figlia Bianca a quest’ora dorme. Inutile, appena varcata la porta si sveglia. Non piange, mi sorride. Per tre ore di fila gioca e “chiacchiera” come fosse mezzogiorno. Troppo contenta di vedermi, forse. O più probabilmente la giusta punizione per essere stato troppo lontano da casa in queste settimane.

(#diario 13 e 14 dicembre 2017)

#inturné

IL POLIZIOTTO, L’ACCUSA DI FALSO E UNA CARTOLINA PREZIOSA
Imperia // Libreria Mondadori

È il gennaio del 1981 quando un ciclone si abbatte sul casino di Sanremo. Finiscono dentro per truffa cento persone, tra croupier e clienti. È una piccola squadra di poliziotti a condurre quel blitz epocale, tra loro Orlando Botti. Oggi Orlando è insieme a me nella bellissima libreria Mondadori di Imperia, mi racconta di quei giorni. Altri tempi, dice, “quando le intercettazioni non si facevano sui cellulari”. Sin da allora si batte per una polizia più democratica. Una sorta di ossessione. Non è un caso se Mark Covell, il giornalista inglese massacrato nel 2001 alla Diaz, ha scelto di farsi accompagnare da lui nel recente tour nelle scuole genovesi. Orlando, oggi in pensione, con l’associazione ApertaMente fa mille attività, tra cui quella impagabile di portare la magia del cinema nelle carceri o nelle scuole elementari.
Prima di iniziare la presentazione di #Chiaroscuro (la seconda di questo sabato) tira fuori dalla borsa una cartolina: ha appuntato con la penna nera tutti i titoli dei film, i libri, le serie tv e delle canzoni citati nel romanzo. Non me l’aspettavo. Mentre mi passo tra le mani questo regalo prezioso, sento dire a bassa voce: “Bisogna aggiungere le sedie”. Mi volto, l’area eventi è piena di persone. Una bella sensazione, soprattutto se giochi in trasferta. Ma evidentemente la Liguria, dopo Savona, si conferma un posto fortunato. Orlando ed io staremo in piedi, perché possano vederci fino all’ultima fila. Pochi minuti dopo avere iniziato a parlare mi accorgo che circolano per la sala i flyer della serata – segno di librai che si prendono cura del proprio lavoro. Devo ricordarmi di conservarne uno, penso.
Parliamo dei personaggi del romanzo, della ‘ndrangheta, della magistratura. Di cinema, naturalmente. Finché Orlando all’improvviso non cambia espressione, quasi mi accusa: “Questo libro contiene un falso”. Sgrano gli occhi, lui tiene il punto: “Tu fai collaborare polizia e carabinieri: in Italia non è mai accaduto”. Scoppia in una risata.
Dalla prima fila prende la parola Carla Nattero, insegnante tosta e appassionata, storica dirigente della sinistra ligure. Ha organizzato lei questo appuntamento. Fa un ragionamento sul contagio delle mafie sul suo territorio. Poi mi chiede se scriverò il seguito di Chiaroscuro. Vedremo, le rispondo. Sono sincero, ma non credo di averla convinta.
Mi prendo un po’ di tempo per le dediche, per scambiare due chiacchiere con i lettori – hanno delle curiosità ma non se la sono sentita di fare le domande ad alta voce.
Mi avvicino alla cassa – ho trovato un libro per mia figlia Bianca. La bravissima libraia mi chiede di autografare le copie rimaste: ne abbiamo vendute tante, le venderemo tutte.
Almeno a Imperia Chiaroscuro sarà un best seller, insomma. Lei sorride.

(#diario 2 dicembre 2017)
#inturné

LA DENUNCIA DELL’EX SINDACO E IL SUONO DELLE CAMPANE
Savona, Libreria Feltrinelli

Riccardo Badino, preside in pensione ed ex sindaco di Borghetto Santo Spirito, dirige la fondazione Oddi di Albenga. Siamo seduti fianco a fianco alla Libreria Feltrinelli di Savona e tra pochi minuti in questo gelido sabato mattina inizieremo la presentazione di #Chiaroscuro. Giusto il tempo per il libraio di attivare lo smartphone per la diretta su Facebook (è la prima volta, credo) e di aspettare che prenda posto qualche ritardatario. Scambiamo due chiacchiere, tiene sotto il braccio un volume che racconta delle mafie in Liguria, mi racconta di averla vista molto da vicino. Non ne sono stupito – Elena Giardini, che ha ben organizzato l’incontro, mi aveva anticipato dell’impegno antimafia di Riccardo. Non immaginavo però che da sindaco aveva denunciato un traffico illegale di rifiuti tossici, si era messo di traverso agli affari della ‘ndrangheta, aveva subito numerose minacce e vissuto sotto tutela. Negli Anni Novanta. Già allora la ‘ndrangheta aveva solide radici in Liguria, già allora le mafie interravano illegalmente i rifiuti tossi anche al Nord. Una storiaccia – come troppe volte senza una vera conclusione – che pare avere dei fili che portano fino ad Africo, in Calabria.
Iniziamo, comincia con le domande. Riccardo vuole confrontarsi sulla ‘ndrangheta e la massoneria, gli stile di scrittura e le parabole di vita dei protagonisti. Poi spiega che l’incontro è frutto di un ragionamento collettivo e cede la parola al pubblico. Nelle prime file sono sedute Giusi Manno e Luigina Casara: hanno letto il libro (non sono le uniche in sala, mi sembra di capire), lo hanno apprezzato, hanno pensato a una sorta di percorso parallelo fatto di commenti, osservazioni e soprattutto letture. C’è spazio per i personaggi principali e quelli minori, per Reggio Calabria e per Roma. Per la gricia (forse perché Luigina è romana). Sono molto brave, danno un tocco particolare alla presentazione. Riccardo riprende il filo del racconto: parla di Oki e Lagavulin (il whisky che piace ai personaggi dei romanzi, sostiene). Ma soprattutto ha un’esigenza: vuole sapere perché Bianca e il capitano Mosca si presentano sempre insieme alle riunioni nello studio di Federico Principe.
Già, perché?
Lascio Savona contento della presentazione e della farinata – di ceci e soprattutto di grano – mangiata a pranzo. Ma con un grande rammarico: non poter restare nel pomeriggio per passare in piazza Mameli. Lì ogni giorno alle 18 – da 90 anni – accade qualcosa di magico: il tempo si ferma per circa un minuto: i pedoni smettono di camminare, le bici e le auto si fermano. Tutti immobili e in silenzio ad ascoltare i 21 rintocchi della campana. Ricorda i caduti di tutte le guerre. Sarebbe stata una grande emozione. A quell’ora però sarò già a Imperia, questo sabato le presentazioni da fare sono due.

(#diario 2 dicembre)
#inturné

 

LE LETTURE DI BRAY, IL VOI DI FALCOMATA’ E LA CASA VUOTA
Torino // Libreria Binaria
29 novembre 2017

A Torino c’è un freddo disumano, sono completamente inutili il cappello con la visiera e lo scaldacollo di pile portati da Roma. Così quando Marco Grimaldi viene a prendermi in stazione mi faccio accompagnare a comprare una sciarpa di lana e un berretto pesante. Anche Marco ne prende uno.
Imbacuccato, raggiungo la libreria Binaria, una delle mille attività dentro il Gruppo Abele, il quartier generale di don Luigi Ciotti. È lui a fare gli onori di casa per la presentazione di #Chiaroscuro. Con noi anche Massimo Bray, il direttore di Treccani e presidente della Fondazione del libro. Entra subito nel vivo del romanzo, ne legge (e davvero non me l’aspetto) alcuni passaggi. Sono tratti soprattutto dall’ultima parte, forse perché ha deciso di sottolineare il racconto generazionale – di una generazione incompiuta e irrequieta – che attraversa questo libro. È un tema a cui temo molto. Analizza i temi del libro, richiama “La ferocia” di Nicola Lagioia a proposito della borghesia e “L’assedio” di Giovanni Bianconi a proposito delle trame oscure di questo Paese, poi cita Papa Francesco e la corruzione che “spuzza”. È un puzzle letterario che ha ricadute forti nell’analisi del presente. Don Ciotti gli fa eco e ragiona dell’importanza di raccontare le mafie, della necessità che ha l’antimafia di interpretare correttamente la realtà, dell’etica dell’impegno, della responsabilità della scelta. Gli argomenti sono davvero molti e interessanti. Così quando tocca a me mi rendo conto che avrei voluto prendere appunti, tenere in evidenza alcuni spunti e frasi. Non l’ho fatto – ho lasciato la penna nello zaino qualche sedia più in là. Così vado a memoria, provo a tenere insieme i pezzi. Chiamo in causa, come già nelle note finali del libro, Francesco Rosi e il suo profetico “Le mani sulla città”, racconto la Reggio Calabria degli Anni Ottanta e Novanta, la mia adolescenza. La verità è che da giorni, senza un vero motivo, continua a tornarmi in mente Italo Falcomatà, il miglior sindaco che Reggio abbia mai avuto. Così decido di rendergli omaggio, ricordando il discorso tenuto davanti all’allora presidente Ciampi. Gli si rivolse utilizzando il “Voi”, con eleganza e dignità, orgoglio e autorevolezza. Per me un’illuminazione.
È una discussione interessante – a cavallo tra il romanzo e la realtà, il personale e il politico. Merita una platea più grande, ripete don Ciotti.
Andiamo. Come tutte le volte che posso quando sono a Torino, ceno con una grissinopoli (una squisita cotoletta alla milanese con l’impanatura di grissini). Vado a dormire nella nuova casa di mio fratello. Non ci sono ancora stato, la scopro molto bella, curata in ogni particolare come me immaginavo. Emanuele però non c’è – è ancora a Ginevra. Non incrocio neppure Simona, che fa il turno di notte. Che dire, a volte tocca accontentarsi.

 

OTTO SPETTATORI, VENTI GRADI E MILLE CHILOMETRI
Altamura // Libreria Feltrinelli
24 novembre 2017

Parto la mattina da Lecce che fa caldo e sembra estate. Una luce stupefacente valorizza la pietra bianca delle vecchie e ristrutturatissime case del centro. Cammino lento, gusto ogni passo tra la bellissima Cattedrale e piazza Sant’Oronzo, poi prendo la direzione della stazione. Parto, in treno, non dopo avere mangiato un pasticciotto comprato in stazione. È l’inizio di una lunga, lunga giornata. A cui guardo con aria di sfida: sono curioso di vedere in che condizioni sarò a mezzanotte. Arrivo a Bari dopo un paio d’ore, viene a prendermi un amico, Gano. Andiamo a pranzo – pesce crudo e chiacchiere sulla sinistra. Alterniamo risate, sana disperazione, fiducia e giudizi irripetibili su alcuni personaggi (o personaggetti, direbbe qualcuno). Quindi di nuovo risate. Un’ora più tardi sono davanti al bus per Altamura. Come solo al Sud può accadere, nei dintorni del capolinea non c’è modo di acquistare il biglietto. L’autista scuote la testa, mi invita a salire e mi dice (è la bellezza del sud): “Tra tre fermate passiamo davanti a un bar che li vende, mi fermo e ti aspetto”. Annuisco complice e grato. Ad Altamura due ore più tardi ad aspettarmi c’è Roberto Moliterni, giovane scrittore, sceneggiatore e mille altre cose. Ha appena pubblicato un romanzo particolare. Si intitola “Stanze in affitto”. Ci sono molto legato, già prima di averlo letto: in qualche modo l’ho visto nascere. Le prime cose me le ha mostrate a Paese Sera, anni fa. Erano divertenti, acute, scritte alle grande. Ne abbiamo fatto nascere una rubrica lettissima e imperdibile. Prendiamo un caffè, poi andiamo in libreria – ancora una Feltrinelli. Un’intervista a una tv locale, poi ci sistemiamo. Alle nostre spalle un coloratissimo banco di prodotti tipici della Murgia che ti verrebbe voglia di apparecchiare la tavola e sederti a mangiare. Davanti a noi una schiera ordinata di sedie nere di plastica. Sono quasi tutte vuote. “Aspettiamo ancora qualche minuto”, dice con l’aria cupa il libraio. Se ne riempiono poche, in tutto otto. Non importa, penso. Le presentazioni si misurano dal senso. Come sempre, farò il meglio di cui sono capace. Roberto sfoglia i suoi appunti, mi riempie di domande, mi porta a fare un ragionamento sulla scrittura mai venuto fuori finora. Ci divertiamo, ho un aereo da Bari tra meno di due ore e guardare di continuo l’orologio purtroppo non mi aiuta a rallentare le lancette. Il pubblico partecipa, interviene: è come se fosse una presentazione collettiva, tutti relatori. Una donna è seduta in ultima fila, prende appunti dal primo istante. Fa una prima sfilza di domande, le rispondo. Mi volto dall’altra parte, ma lei ricomincia. Nuovi interrogativi, poi altri ancora. Roberto ed io la prendiamo anche un po’ in giro, lei incassa e continua. Rispondo, colpo su colpo. “Posso consigliare il suo libro a mio figlio adolescente?”, è l’ultima domanda. Taccio, risponde Roberto: “Assolutamente sì”. Sono passate le 20.30, devo davvero scappare. Roberto mi riporta fino a Bari in macchina: è una corsa contro il tempo. Arriviamo che l’aeroporto è deserto. Attiro l’attenzione di una guardia giurata che manda qualcuno ai controlli: il personale ha la testa chissà dove e non si accorge di una bottiglia d’acqua da un litro in valigia. Spero che con gli altri passeggeri siano stati più precisi. Corro agli imbarchi, stanno per chiudere: salgo in aereo per ultimo. Trafelato. Però ce l’ho fatta e mi lascio cadere sul sedile. A Bologna mi aspetta un’altra auto che mi porta a Casalecchio di Reno. È quasi mezzanotte, non ho cenato e l’hotel ovviamente ha le cucine chiuse. Mi immergo nel buio e nell’umidità emiliana: tutto chiuso. Mangerò le arachidi del frigobar in camera, penso rassegnato. Dopo un’ora di cammino, le luci di un pub in fondo alla strada mi sembrano un’allucinazione.
Mi preparano una piadina. Almeno questo, dopo un treno, un bus, due auto, due presentazioni, un’escursione termica di una ventina di gradi e mille chilometri.

#inturné

L’INVASIONE SITUAZIONISTA DEL BAR
Lecce // Libreria Feltrinelli
23 novembre 2017

Una classica presentazione in libreria eppure dallo spirito situazionista. A Lecce è andata così. Entro alla Feltrinelli, a un passo dalla bellissima piazza Sant’Oronzo, mi guardo intorno e non c’è traccia della presentazione – non un cartello o un avviso, non un libro esposto in evidenza. Impossibile, mi illudo. E continuo a girare fiducioso tra banchi e scaffali. Niente. Soltanto se sei vicino alla cassa e strizzi gli occhi forse puoi riuscire ad accorgerti di una locandina con il programma degli eventi di novembre: c’è una foto enorme di Erri De Luca e una invece minuscola della copertina di #Chiaroscuro. Se non fosse che Jessica Niglio, la brava giornalista che ha organizzato l’incontro, è lì con alcuni amici potrebbe venirmi il dubbio di avere sbagliato giornata.
La libreria è piena di gente, non credo siano in tanti per noi nonostante la notizia sia uscita molto bene sui giornali (merito di Jessica, c’è anche una mia foto con espressione da ebete a corredo di un bel pezzo sulla Gazzetta del Mezzogiorno). Arriva Gabriele De Giorgi, un cronista del sito Lecceprima.it, il giornale web più cliccato della Puglia. Mi regala il suo libro (“Lecce fuori onda”, che ho cominciato a leggere e trovo davvero interessante), cominciamo a chiacchierare, mentre continuo a guardarmi intorno. E comincio chiedermi dove si farà la presentazione: tra banchi e tavolini del bar non c’è un metro quadro libero. Non faccio in tempo a cercare una risposta che vedo passarmi davanti un gigantesco banco pieno di libri, mi volto e davanti alla vetrina qualcuno in un batter d’occhio ha sistemato due sedie e un tavolo con sopra due copie di #Chiaroscuro. Prendiamo posto, ci portano due provvidenziali Spritz che sistemiamo in bella mostra davanti a noi. Cominciamo. È una presentazione dal sapore situazionista: abbiamo letteralmente invaso l’area del bar rompendo la quiete e l’equilibrio perfetto delle tantissime persone sedute ai tavolini a leggere, lavorare al pc, scrivere, prendere un te.
“Speriamo non disturbarvi troppo”, dico all’inizio conquistando qualche sorriso. Prende la parola Gabriele. Ci tiene a esordire anche qui (come aveva già anticipato su Facebook) che non ha finito di leggere il libro. Agnese, una nostra amica comune seduta in prima fila, storce la bocca: “Ma perché devi dirlo?”. Lo fa per sincerità, credo. O serietà verso chi lo segue e ascolta. Non mi disturba, per niente. Anzi, quando durante la serata lo ripete – forse due o tre volte – inizia persino a divertirmi. Gli dico soltanto, ridendo: “Non l’hai finito, va bene. Finiscilo però”. Lui giura di sì. Parliamo fitto per un’oretta, del libro e dei suoi personaggi, della ‘ndrangheta e di Roma, di un parallelismo possibile tra Reggio Calabria e Lecce sulla massoneria. È una bella discussione, conquistiamo ascoltatori tra gli avventori: alcuni si voltano e ascoltano attenti, altri si avvicinano e prendono posto a un passo da noi, due di loro alla fine li vedo andare via con il libro in mano. L’invasione dello spazio è stata la scelta giusta. La presentazione è andata, andiamo a cena. Mi portano in una macelleria a mangiare le bombette pugliesi – mille tipi diversi di involtini di carne. Un po’ come se mi avessero portato a una festa.
#inturné

 

ATTENTI AI CINGHIALI… E AI CALABRESI/ Parte seconda
Roma // Libreria L’Altra città
17 novembre 2017

Gemelle. Forse senza saperlo prima non mi sarebbe mai venuto in mente, ma entrando nella libreria L’Altra città ho davvero la sensazione di non essere mai uscito dalla Moderna di Rieti. È una curiosa coincidenza essere qui, soprattutto per la casualità con cui sono nate queste due presentazioni. Silvia mi saluta con il sorriso di chi ti conosce da sempre. È una bella accoglienza.
Al quarto appuntamento romano, non so cosa aspettarmi. Sono contento però che Mattia e Gianluca che hanno organizzato abbiano accettato di invitare Vins Gallico, uno scrittore che stimo molto. Anche lui è originario di Reggio Calabria, anche lui qualche tempo fa ha scritto un romanzo sulla ‘ndrangheta. Non lo incrociavo da un po’ di tempo, mi fa piacere che sia qui. Tra le mani ha un kindle, “con sottolineature e appunti” precisa. Sorrido divertito.
Cominciamo. Parliamo di #Chiaroscuro, dei personaggi, di Federico Principe che è un magistrato antipatico e contraddittorio, di Walter White e Breaking bad di cui nel libro c’è forse più di qualche traccia, della letteratura e del racconto del bene e del male (un argomento che torna spesso durante gli incontri). Si finisce a parlare di Calabria, inevitabilmente. Stavolta però è diverso. Attorno a piazza Bologna è un tema sensibile: i calabresi da quelle parti sono tantissimi, quasi più dei romani. Migliaia di studenti e professionisti, brava gente e criminali. Scopriamo che la convivenza è diventata – per usare un eufemismo – faticosa. La serata va così. “Ho tanti amici calabresi, però…”, “Ma come mai stanno sempre insieme?”, “Lo dico solo come provocazione, ma non è che c’è un tratto antropologico comune?”, “Mio figlio è stato lì da voi, mi ha detto che si mangia bene”. Avevo iniziato il mio intervento provocatorio di “scrittorepernullaindulgenteconlasuaterra” dicendo che tanti guardano alla Calabria con gli stessi occhi di chi visita uno zoo. E stasera ne trovo conferma. Altroché.
Vins ed io ci scambiamo uno sguardo perplesso, sorridiamo: “Forse c’è qualche pregiudizio di troppo”. “Da qui a tornare a Lombroso manca poco”, sbotta Vins. È un botta e risposta serrato – sincero – sulla Calabria e i calabresi, i pregiudizi e le esperienze necessarie. Sui buchi neri di una città come Roma, su cui nessuno mai vuole confrontarsi.
Finisce bene, almeno ci siamo capiti.
“Ti leggerò, per superare i pregiudizi”, mi promette porgendomi il libro per una dedica un signore che ha battagliato dalla prima fila per tutta la sera. Sono passate oltre due ore e mezza, devo andare. S’è fatto tardi, e poi sta per iniziare la terza stagione di Gomorra. Almeno per stasera penserò ai napoletani.

ATTENTI AI CINGHIALI… E AI CALABRESI/ Parte prima
Rieti, Libreria Moderna
16 novembre 2017

Ho scoperto che Rieti non ha un collegamento ferroviario diretto con Roma. Precisa volontà dei reatini, mi racconta Massimo, calabrese trapiantato in terra Sabina. Sgrano gli occhi, lui insiste: non volevano diventare un quartiere dormitorio della Capitale. Non me ne capacito, ma quale che sia il motivo devo rassegnarmi: raggiungerò Rieti in macchina. Mi accompagna Salvatore, amico ansioso che chilometro dopo chilometro verifica dal cellulare (con qualche ragione, devo ammettere) le indicazioni del navigatore. Il tempo passa in fretta, presi come siamo da chiacchiere che non c’è mai l’occasione di fare.
La Libreria Moderna è come me l’aspetto, bella e accogliente: scaffali in legno, libri selezionati, avvisi di incontri ad ogni angolo. Ci viene incontro Andrea Petrini: l’ha acquistata nel 2004 e l’ha resa un riferimento per tanti. Soprattutto i cosiddetti lettori forti. Li riconosci subito, con quegli occhi curiosi e pieni, quella certa espressione sospettosa. In sala per la presentazione di #Chiaroscuro sono quasi tutte donne tra i cinquanta e i sessanta (uno dei tre uomini è Antonio, un collega dei tempi di Paese Sera). Non mi staccano mai lo sguardo di dosso, quasi un avvertimento: se Andrea ti ha portato qui siamo disposte a starti a sentire, ma non sarà facile convincerci. Ce la metto tutta, e Andrea mi dà una grossa mano con le sue domande, soprattutto le osservazioni puntuali. Parliamo del romanzo, naturalmente. E anche del fatto che da qualche anno un gruppo di scrittori calabresi tenta di farsi largo nel panorama italiano. “Siete quasi tutti emigrati, però”, rileva. Non ci avevo pensato. Non vale solo per me, vale per Gioacchino Criaco e Domenico Dara o per esempio per un “pezzo” del collettivo Lou Palanca. Una domanda del pubblico ci invita a parlare della verità – dell’onestà – delle recensioni. Ne approfitto per ricordare Pietro Cheli, formidabile e temuto critico recentemente scomparso. Quest’estate ha scritto un inatteso e bellissimo pezzo su Chiaroscuro, e mi ha reso felice.
Mi alzo, soddisfatto. Mi avvicino alla cassa per salutare, aspetto che Andrea che venda l’ultimo libro. “Lo sai dove sei domani sera?”. Strana domanda, penso. “L’Altra città, a Roma”, rispondo. “Siamo sempre noi: lì c’è Silvia, la mia socia”.
Silvia e Andrea si conoscono dai tempi della scuola e, da sempre, coltivavano l’idea di aprire una libreria. Prima è stato Rieti, qualche tempo dopo Roma. Così è nata l’Altra città, nella zona di Piazza Bologna. “Fammi sapere chi è il più bravo”, saluta ridendo.
Ci rimettiamo in macchina dopo una pizza. “Fate attenzione agli autovelox e soprattutto ai cinghiali”, ci raccomandano. Imbocco la Salaria, buia e deserta, Guido contratto, gli occhi sbarrati. Arriviamo a casa poco dopo mezzanotte. Di cinghiali non se ne sono visti, ed è una fortuna. Di autovelox neppure. Sarà una fortuna anche questa?

11 novembre 2017
PESCARA / FLA – Festival di libri e altre cose
Che ci faccio qui?

Collage PescaraMi fermo sull’uscio dello Spazio Matta e ho soltanto un pensiero: “Che ci faccio qui?”. Una sala enorme, la luce artificiale riflessa sulle pareti bianche e che acceca, una schiera di sedie ordinate e vuote. Inequivocabilmente vuote. Muovo qualche passo, noto in un angolo il banchetto dei volontari del festival, qualcuno di loro accenna un sorriso imbarazzato. “Che ci faccio qui?”, mi ripeto. Mancano ormai pochi minuti alle 18 e non si vede nessuno. Incrocio lo sguardo tranquillizzante di Celeste, mia moglie: “Andrà tutto bene”, sembra dirmi. Annuisco, ma non mi convince. All’improvviso sbuca una bambina, avrà due anni, mi dice qualcosa che ovviamente non capisco. Dietro di lei, la mamma. La vedo venire spedita a stringermi la mano: “Piacere”. Ha fatto quasi 70 chilometri per #Chiaroscuro: l’ha letto, le è piaciuto e ha già organizzato una presentazione per gennaio nella sua città. La ringrazio, piacevolmente sorpreso e dispiaciuto. Una scrollata di spalle e si volta, la bambina corre tra le sedie e ha paura che cada e si faccia male. Seguo la scena con lo sguardo.
“È una sala importante”, mi sorprende alle spalle un giovane con i baffi, al collo un cartellino con la scritta staff. “Qui c’è stata l’apertura con il presidente del Senato”. Io sorrido, non dico nulla e penso: “Appunto, che ci faccio qui?”. Nel frattempo arriva Paolo Ferri, un operatore culturale di Pescara: farò con lui la presentazione. Ci scambiamo qualche impressione sul libro, facciamo trascorrere ancora qualche minuto nella speranza che si faccia vivo qualcuno. Alla spicciolata arrivano otto, forse dieci persone.
“Dobbiamo iniziare”, si avvicina il giovane con i baffi. “Andiamo”, dico deciso. E lo sono davvero. Paolo Ferri ed io ci sistemiamo ai piedi del palco.
La prima domanda, su Federico Principe. La seconda, sulla ‘ndrangheta. Mentre rispondo mi accorgo che la sala rapidamente si va riempiendo. Una bella sorpresa, per una chiacchierata davvero bella e stimolante. Merito soprattutto di Paolo Ferri, capace di mettere al centro argomenti e temi che interessano il pubblico.
“Ci sono stati dei cambi di location”, mi confessa alla fine qualcuno dell’organizzazione visibilmente sollevato mentre i ragazzi dello staff mi chiedono di scattare una foto insieme. “Mandatemela però”, chiedo. Non lo hanno fatto, naturalmente. Esco dallo Spazio Matta contento, saluto Luigi Manconi che sta per salire sul palco, e vado verso il centro storico di Pescara. Finalmente rilassato, mi immergo nel Fla, Festival di libri e altre cose: un evento bello, che occupa tutta la città e non a caso è giunto alla quindicesima edizione.
Quattro le segnalazioni della mia due giorni pescarese. Lo spazio libri gestito dalla libreria Primo Moroni, ostinatamente indipendente e di qualità. Gli arrosticini tagliati a mano (del sabato sera) e il pesce crudo (la domenica a pranzo, su un lungomare pieno di gente e di sole). Le centinaia di ragazze e ragazzi in fila per ore per Dario Brunori: un altro calabrese, molto più famoso di me, al Festival. Non è così frequente, e riempie il cuore per quella terra così amara. L’omaggio del Fla alla scrittrice abruzzese Donatella Di Pietrantonio, neovincitrice del Campiello. E’ tutto per lei l’affollatissimo evento di chiusura.
#inturné #diario

 

3 novembre 2017
Circolo Arci Sparwasser, via del Pigneto 215, Roma
Una traccia che non t’aspetti

Sparwasser 3 novembre 2017

Jurgen Sparwasser è stato una mezz’ala della Ddr negli Anni Settanta. Un calciatore di discreto talento, eppure un mito: è suo il gol con cui la Nazionale della Germania Est ha sconfitto – uno a zero – i cugini-nemici dell’Ovest ai Mondiali del 1974. Una piccola grande storia che da qualche tempo ha trovato un’eco anche a Roma: proprio a Sparwasser – un po’ una dichiarazione d’intenti – è infatti dedicato il circolo Arci dove stasera s’è discusso di Chiaroscuro. Una presentazione particolare, per molte ragioni. La più importante, forse, è che siamo stati al Pigneto, a un passo da dove – per otto anni – c’è stato lo Spazio daSud, un luogo a suo modo magico, certamente unico nel panorama capitolino.

Entrando quella sala quasi completamente vuota mi fa uno strano effetto. Sarà per le luci basse o per le enormi ragnatele alle pareti, segno che Halloween è ormai ovunque. Ordino un bicchiere di vino rosso, siedo al bancone per chiacchierare con alcuni amici: alcuni sono alla terza presentazione e meritano un brindisi.

Iniziamo dopo mezz’ora, forse di più. Fa gli onori di casa Tito, un ragazzone che conosco da quando era quasi un bambino: insieme parliamo soltanto il dialetto, calabrese. Ovvio allora che la presentazione prenda subito una piega precisa: la Calabria, la voglia di tornare, la necessità di battersi per cambiare quel pezzo di mondo dannato. La sala comincia a riempirsi, spuntano altre facce conosciute. Alcune proprio non mi aspettavo di vederle. La discussione si fa fitta, come mi è spesso successo. Le domande più difficili. Volevi scrivere un romanzo o il romanzo è solo un nuovo tassello del tuo impegno sociale? Volevo scrivere un romanzo, ma capisco perché me lo chiedi. E un’altra: sui buoni e i cattivi, l’ambivalenza del potere (e quella di tutti quanti noi). È un tema centrale, per me. Sono contento di discutere, soprattutto di scoprire che a volte – senza saperlo – lasci una traccia di te negli altri, anche in chi non te l’aspetteresti mai. S’è fatto tardi, mi alzo dal divano polveroso su cui ho cercato una posizione comoda per tutta la sera. Dal riacutizzarsi del mal di schiena devo dedurre di non averla trovata.