I Calabresi vogliono essere parlati

L’ex sindaco anti-‘ndrangheta di Rosarno Peppino Lavorato ha scritto un commento bellissimo, di cui vado fiero, sul libro “Dimenticati”. Lo ha pubblicato il Quotidiano della Calabria.
Eccolo
di Giuseppe Lavorato*
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Da alcune settimane è nelle librerie italiane‘’Dimenticati, vittime della ‘ndrangheta. La storia e le storie delle donne e degli uomini assassinati dall’organizzazione criminale più segreta e più potente del mondo’’, ultimo libro Danilo Chirico ed Alessio Magro, due giovani intellettuali calabresi che si cimentano con i problemi della loro e nostra terra con passione civile e serietà. Ne danno prova già nell’introduzione, quando scrivono«Cinque anni fa abbiamo iniziato un viaggio a ritroso nella memoria dispersa, occultata e negata di un pezzo d’Italia. Avevamo bisogno – innanzi tutto per noi stessi – di colmare buchi impressionanti. Abbiamo letto e riletto atti processuali, decifrato verbali scritti a mano, riaperto libri obsoleti e sfogliato ingiallite pagine di giornali e riviste, guardato vecchie foto ed immagini rovinate. Soprattutto abbiamo incontrato centinaia di persone. Straordinarie. Le abbiamo ascoltate. Abbiamo sentito dal vivo della loro voce quello che è stato. Parole pronunciate con orgoglio e vigore o strette tra i denti e sussurrate. È un’emozione che non si può dire, spiegare.  Poi è stato il momento del racconto».
Sono parole che si incastonano perfettamente con quelle di Francesco Cascini, magistrato ragazzino di prima nomina nel 1996 a Locri che, nel libro “Storia di un giudice, nel far west della ‘ndrangheta’’, scrive: «Sembrava impossibile che tutto potesse nascere dalle case arrampicate sull’Aspromonte di Africo vecchio, dai cunicoli di Platì, dal silenzio di San Luca, dagli ovili abusivi dei capi più carismatici. Eppure era così.Nella Locride la situazione resta difficile, anche solo da capire, senza aver respirato l’aria di posti come Africo, San Luca. Le persone che ci vivono, la loro cultura, la loro mentalità rappresentano un altro mondo, di fatto incomprensibile a chi non è nato e cresciuto lì».
Pensieri, quelli di Chirico, Magro e Cascini, che ricordano quelli di Corrado Alvaro: “I Calabresi vogliono essere parlati”.  Ciò che è vero per tutti i popoli del mondo, è vero anche per i Calabresi. Per comprenderli e descriverli devi immergerti tra di loro e parlare con loro, invece molto spesso sono raccontati da persone che non li hanno conosciuti oppure sono passati tra di loro, rapidamente, a volo di uccello. Sono tanti i grandi inviati che arrivati in Calabria hanno firmato pezzi superficiali e spocchiosi o hanno usato i microfoni  della televisione come clave con l’unico obiettivo di costruire l’ennesimo caso di omertà, l’ennesima macchietta da schernire. In questo compito sono facilitati da soggetti che, per apparire difensori delle proprie comunità ed ottenere qualche meschino voto in più, negano, minimizzano, giustificano quanto, invece deve essere denunciato con vigore e fermezza. Com’è avvenuto, a gennaio, dopo la spietata e infame caccia al nero e la deportazione dei neri africani che si sono ribellati all’estorsione sulla loro miserrima paga ed alle violenze subite. Mentre chi vuole veramente bene alla propria terra e vuole mantenerne integri e credibili i valori che la nutrono, si misura sui problemi e sui mali che l’affliggono con  il linguaggio della verità nuda e cruda, perché così agisce il medico che vuole guarire l’ammalato. Rifugge dalle parole consolatrici e soprattutto dalle parole e dai comportamenti  che piacciono alla ‘ndrangheta. Denuncia, senza indulgenza, i mali, per poi assegnare la  legittima luce ai comportamenti nobili che sono presenti e vivi in tanta parte delle nostre comunità. La ‘ndrangheta ha raggiunto l’attuale potenza anche perché è stato un fenomeno poco conosciuto fino a qualche decennio addietro, oscurato dalla più appariscente “cosa nostra” siciliana, dalla camorra napoletana e dalla disattenzione dei mass media. Numerose inchieste giudiziarie hanno disvelato la sua crescita vertiginosa  nell’ultimo quarantennio e su di esse si è sviluppata una copiosa letteratura che ne ha divulgato la conoscenza. Diffondere le relazioni della magistratura e degli organi inquirenti, che costituiscono fonti di altissima qualità, è certamente indispensabile per conoscere il fenomeno. Ma la letteratura non può fermarsi ad esse. Deve aiutare ad una comprensione maggiore del fenomeno congiungendo all’indagine giudiziaria un lavoro ed una riflessione che avvenga dentro il corpo vivo delle comunità afflitte dal fenomeno. È il lavoro compiuto da Danilo ed Alessio, nelle 500 pagine del loro racconto che si immerge dentro i problemi drammatici che affliggono il nostro popolo, li vive, li soffre  e li descrive con rigore intellettuale e morale. I capitoli del libro raccontano la brutalità sanguinaria della ’ndrangheta in tutte le sue attività criminali. Sembrano le tappe della sofferenza inflitta al popolo onesto e laborioso, in un accostamento ideale all’iniziativa annuale di un Pastore della chiesa locridea di celebrare la Via Crucis con soste di riflessione e di preghiera nei luoghi simbolo della violenza e del dolore.
Le numerose vittime dell’Anonima sequestri calabrese, così come le morti collegate ai rapimenti: testimoni scomodi, mediatori sgraditi,vittime inconsapevoli e cittadini in cerca di giustizia. La cosiddetta strategia della linea dura che vieta il pagamento dei riscatti, mentre un’altra trattativa impegna apparati sommersi delle istituzioni. E poi il capitolo dei “Fatti di crudeltà inaudita, che nel nome dell’onore violato, del disonore, portano a morte violenta ed efferata donne, sorelle bambini, adulteri e spasimanti colpevoli di amare la persona sbagliata”. Delitti compiuti per riaffermare il “prestigio di casta, quello degli ‘ndranghetisti” al solo fine di poter continuare a fare parte quelle organizzazioni criminali  che si arricchiscono con la violenza ed il malaffare. L’assassinio di umili lavoratori per lanciare il segnale che anche in Calabria, come in Campania, gli affari miliardari dei rifiuti appartengono alle cosche. Ma, assieme alla Calabria peggiore, quella della ferocia inaudita, dei faccendieri ed insospettabili, di parti degenerate della politica e delle istituzioni che hanno contribuito a allargare l’area collusa e grigia e a ingrossarel’accumulazione originaria dei capitali necessari a introdurre la ‘ndrangheta dei pastori e dei guardiani nel mondo dei grandi traffici illeciti, Danilo Chirico ed Alessio Magro raccontano la Calabria migliore, perché sanno che non arriverà nessun angelo liberatore e che i calabresi dovranno liberarsi da soli dall’oppressione della ‘ndrangheta. Per questo le molteplici, spietate ed infami forme che la violenza assume sono raccontate assieme al dolore vigliaccamente inflitto ad inermi ed oneste persone. E tra quest’ultime, il racconto illumina quelle che alla ‘ndrangheta si sono opposte, per indicarle ad esempio.  Nelle belle ed amare pagine del libro ritornano in vita le storie di calabresi, che hanno onorato la loro terra: sono donne meravigliose; uomini in divisa, magistrati, politici, imprenditori, cittadini. La penna descrive la Calabria vera ed intera. La crescita vertiginosa di una organizzazione criminale che dopo aver conquistato un grande potere militare, economico, politico, ricerca anche la legittimazione sociale, tentando di impregnare di se anche attività sportive, ricreative, pseudo culturali, religiose.
E racconta anche la Calabria di chi si oppone, resiste, combatte, lavora per risvegliare all’impegno civile tutte le persone oneste e laboriose, che sono largamente maggioritarie. Perché se non si da voce anche a quest’altra Calabria la battaglia diventa ancora più difficile di quanto già lo sia. E ad essa appartiene anche quel canto-poesia che tocca i sentimenti umani più profondi: “Ma comu si faci ‘nta Calabria i si spara ancora, ma comu si faci ‘nta Calabria i si ammazza ancora, ndavimu u suli ndavimu u mari e sogni d’amuri, ma comu si faci ‘nta Calabria i si ammazza ancora!  Sono alcuni versi della poesia “Ma comu si faci” , ma come si fa a uccidere ancora in una terra che è un paradiso , coi fiori che nascono anche d’inverno, il mare, il sole, composta e cantata dal gruppo punk degli “Invece”, nome scelto da giovani artisti per testimoniare che c’è sempre un’alternativa allo stato di cose presenti. Versi scritti sul finire del secolo scorso da giovani che hanno provato sulla loro pelle  la disoccupazione, l’emigrazione, l’essere chiamati e trattati come gli africani (Ndi ndi jamu ndi ndi jamu, si ma aundi jamu, ndi ndi jamu ndi ndi jamu, comu i profughi fuimu). Versi che richiamano il più importante problema del nostro tempo (l’esodo biblico dei poveri del mondo) e fatti dolorosi di stringente attualità. Versi che, omaggiando il nostro grande scrittore, scrivono e cantano “Non è bella la vita degli africani in giro per il mondo trattati come cani e allora e allora ribellione’’.
Dopo “Il sangue dei giusti’’, “Il caso Valarioti’’, il dossier sulla legittima rivolta degli africani neri e l’infame rappresaglia compiuta contro di loro descritte in “Arance insanguinate”, l’associazione Stopndrangheta.it e molti scritti politico-sociali, “Dimenticati’’ è , in ordine di tempo, l’ultima opera delle tantissime che certamente Danilo Chirico ed Alessio Magro comporranno a beneficio della conoscenza e dell’impegno di quanti vogliono essere protagonisti del riscatto del Mezzogiorno e dell’Italia.
Nota: tutte le frasi in corsivo sono tratte dal libro e sono, quindi, frutto dell’intelligente lavoro degli autori.
*ex deputato e sindaco di Rosarno
( pubblicato sul Quotidiano della Calabria il 24 dicembre 2010)

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