Giochi di mafia

Girando per la città, in qualunque posto dal centro alla periferia, sempre più spesso capita di imbattersi in una sala bingo, slot o un minicasinò. E capita sempre con maggiore frequenza di entrare in un bar o in una rivendita di tabacchi e trovarsi di fianco le macchinette per il videopoker (da segnalare a proposito il progetto www.senzaslot.it). Che si tratti delle mega strutture luccicanti che invadono le strade o delle stanze squallide nel retro dei locali, siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione degli assetti urbanistici delle città (come può rilevare qualunque osservatore);dei modelli economici e imprenditoriali del Paese (il giro d’affari è di 100 miliardi all’anno); del modo di organizzare i bilanci dello Stato (con l’illusione, non supportata dai fatti, di rimpinguare le casse sempre più vuote); del modello sociale (con un’illusione di giocare e cambiare vita tanto che è stato calcolato che ogni italiano spende al gioco oltre 1200 euro all’anno). E le mafie? Come tutti i settori nei quali circola tanto denaro, i clan hanno aguzzano l’attenzione e l’ingegno. Tanto che il giro di affari delle mafie nel gioco è calcolato in circa 10 miliardi di euro all’anno. E i magistrati della Dna nell’ultima relazione spiegano anche come i clan fanno gli affari. Continue reading

Relazioni pericolose

Due quadri per raccontare Roma oggi. A partire da due notizie pubblicate da Paesesera.it.

Il primoquadro. Due coniugi arrivano a Roma e desiderano comprare una villa in via Boccea, proprio di fianco alla casa acquistata da un amico.Hanno saputo che in città si fanno buoni affari, si trova sempre qualcuno che chiude un occhio sulla provenienza dei soldi e si può accedere facilmente al credito. Il loro amico, per esempio, ha comprato il suo appartamento a 226mila euro in contanti e il notaio non ha segnalato, come pure prevede la legge, la sproporzione tra quei soldi e il reddito dichiarato. Decidono allora di andare in banca per chiedere un mutuo, nonostante una dichiarazione dei redditi al di sotto della soglia di povertà e l’impossibilità di fornire qualunque garanzia. Proprio per questo, appena qualche giorno prima gli era stato negato un finanziamento per l’acquisto di un’auto usata. Eppure in banca accade qualcosa di inusuale: viene accordato un finanziamento da 350mila euro. Un mega mutuo, di ben 40mila euro in più rispetto a quello richiesto. Strano? No, semplicemente – sostiene la magistratura che indaga su queste operazioni – la coppia sarebbe legata alla ‘ndrangheta e se deve andare in banca a Roma riesce a trovare quella con le porte aperte. Continue reading

Primarie, troppe candidature: e se ci fosse una moratoria?

Le elezioni del 25 e 26 febbraio (con le analisi e i commenti politicisti di queste ore) arrivano come una tempesta sulle Comunali. E interrogano già dalle prossime ore il centrosinistra che si prepara a difficilissime primarie.

LE ELEZIONI – I risultati dicono per esempio che, con i numeri delle Politiche, Gianni Alemanno sarebbe travolto e ci sarebbe, come in tanti hanno osservato, un ballottaggio tra il candidato del centrosinistra e quello del Movimento 5stelle con il rischio di vedere anche nella Capitale uno scenario come quello di Parma, in cui la destra al secondo turno ha votato Pizzarotti. Dicono anche, per esempio, che non ci sono più roccaforti per nessuno, visto che il Movimento 5 Stelle ha avuto un’affermazione fortissima nelle periferie dove ha avuto il suo radicamento la sinistra. Due campanelli d’allarme da non sottovalutare.

LA VIA D’USCITA – Ma dalle tornata elettorale viene fuori anche un altro importante segnale: la vittoria di Nicola Zingaretti alla Regione. Il neogovernatore, che pure tanti anche nel Pd hanno osteggiato, s’è affermato perché ha puntato sul rinnovamento dei candidati (seppure con qualche riciclato di troppo) e la trasparenza, ha praticato la partecipazione, ha proposto un’idea di governo, mettendo in campo credibilità personale e programmi. Si è fatto tesoro di un’esperienza di governo alla Provincia e di un lavoro per la candidatura a sindaco (poi saltata) che comunque era servita a tessere relazioni con la società romana. Sarà davvero un buon governatore, Zingaretti? Si vedrà, a partire dalle scelte che opererà sulla giunta (alcuni nomi che circolano in queste ore lasciano ben sperare, altri proprio no). Quel che è certo è che ha sconfitto la destra spavalda di Francesco Storace, annullato il ruolo politico dei montiani che pure ambivano alla centralità nello scacchiere politico, limitato l’affermazione dei grillini.

LE PRIMARIE – E’ allora il modello Zingaretti la soluzione giusta per il Comune? Forse, ogni elezione ha una storia a sé. Di certo però è destinata al naufragio la strada percorsa in questi mesi, con primarie convocate e rinviate, regole stabilite e subito messe in discussione e soprattutto con il fiorire di candidature a pioggia. Umberto Marroni (Pd), David Sassoli (Pd), Paolo Gentiloni (Pd), Patrizia Prestipino (Pd), Gemma Azuni (Sel), Luigi Nieri (Sel), Paolo Cento (Sel), Alessandro Bianchi (area Pd), Mattia Di Tommaso (Psi): sono questi i candidati al momento alle primarie del centrosinistra. A questi si devono aggiungere Sandro Medici (che sta nell’area che non è riuscita a entrare né in Parlamento né in Consiglio regionale), qualche esperienza di movimento e, forse, il costruttore Alfio Marchini che ha lanciato un’imponente campagna di comunicazione, sta girando la città in lungo e in largo ed è tentato dalle primarie del centrosinistra. C’è poi l’incognita Goffredo Bettini che un giorno sì e l’altro pure attacca il suo partito (ancora il Pd), minaccia di partecipare alle primarie e lavora per la candidatura di Ignazio Marino (Pd).

M5S LEGITTIMATO A GOVERNARE – Un quadro fumoso dentro il quale il centrosinistra già rischiava di riconsegnare la città ad Alemanno e che oggi può avvantaggiare il M5S. Perché sono cambiati gli equilibri e i rapporti di forza, perché il centrosinistra vive un momento di crisi strutturale, perché i grillini adesso sentono di potercela fare. Non solo. Anche perché – cosa non proprio trascurabile – l’offerta di governo che Bersani ha rivolto a Grillo (che venga accettata o no) ha di fatto trasformato il Movimento in una forza legittimata a governare facendo venire meno uno dei principali argomenti contro i 5Stelle.

VERSO QUALI PRIMARIE – Tra pochi giorni (il 7 marzo, ma si lavora a un rinvio) si dovranno presentare le candidature per le primarie del 7 aprile. Un passaggio fondamentale, che certamente può servire a riattivare energie e idee. Eppure un passaggio che, alla luce di questo cambio di fase, rischia di somigliare più a un regolamento di conti interno ai partiti piuttosto che a un momento di partecipazione vera e consapevole. Per rendersene conto basta leggere le sortite liturgiche (alcune anche grottesche) di queste ore.

UNA MORATORIA SULLE CANDIDATURE – Ecco perché oggi, per non correre il rischio di andarsi a schiantare, il centrosinistra farebbe bene a fermarsi e riflettere, ascoltando con attenzione l’ansia e la preoccupazione che si avvertono nel mondo delle associazioni, dei movimenti, nella base dei partiti. Si stabilisca quindi una moratoria delle candidature nel centrosinistra, alle primarie o alle comunali: si riparta da zero, accantonando ambizioni, personalismi, tatticismi, contrasti. Si faccia un passo indietro e si metta a disposizione della città la propria esperienza. Si dia la dimostrazione di avere colto fino in fondo il passaggio che il sistema politico sta attraversando, con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi.

IL NUOVO INIZIO – E subito dopo si riparta. Dalle insufficienze però, non dalla certezza di avere la ricetta in mano. I tempi sono strettissimi, certo. Così come il sacrificio che si chiede è molto pesante. Ma dare un segnale è necessario. Solo allora si decida se e come fare le primarie, che restano il percorso da privilegiare ma che – come hanno dimostrato le Politiche e le Regionali – non sono la soluzione a tutti i mali. Solo allora vecchie o nuove candidature avranno un valore diverso (non è sui nomi questo ragionamento) e la competizione, oltre che sui nomi, sarà finalmente su un’idea di futuro. In questo modo, finalmente, le esperienze che in questi anni hanno fatto vivere la città potranno diventare progetto di governo e il centrosinistra – magari unito, in un punto di equilibrio più avanzato – potrà avviare un percorso davvero innovativo. Roma deve aprire un laboratorio nuovo, diverso nei programmi e nei protagonisti da quello di Rutelli e Veltroni. Deve prendere spunto da Zingaretti e provare ad andare oltre. Se il centrosinistra non saprà trarre insegnamento dalle elezioni appena passate, rischia di confinarsi in un’altra stagione di gloriosa opposizione.

La politica e la società civile(cosiddetta)

A poche ore dalla fine di questa campagna elettorale invernale persino le parole sono avvilite, e svilite. Sono state via via svuotate e ferite, piegate agli interessi di parte e usate opportunisticamente, private cinicamente del loro significato. Si tratta di un fenomeno politico che va avanti da anni: come dimenticare, solo per fare un esempio, che abbiamo chiamato colpevolmente flessibilità la precarietà selvaggia e missione di pace le guerre e i bombardamenti. Eppure questa campagna elettorale ha chiarito definitivamente che la trasfigurazione del linguaggio è frutto di un processo sociale che certo riguarda la politica ma ha come protagonisti indispensabili i giornalisti e soprattutto la cosiddetta società civile.

LE PAROLE SVILITE – Così hanno perso di significato parole come “corruzione” (di cui parlano con la stessa disinvoltura Berlusconi che si vanta di essere il primo firmatario della legge, Monti che ha fatto la legge e oggi non firma gli appelli delle associazioni, Bersani che ha votato la legge e non la voleva, le persone che volevano una legge vera), “casta” (al centro di ogni programma elettorale: di chi ha rubato e di chi ha avuto atteggiamenti francescani, di chi è ossessionato e di chi lo considera un falso problema). Una segnalazione particolare merita la parola “riforme” (usata come mantra per ogni ragionamento, spesso di segno contrapposto) e soprattutto il termine “riformista” (l’appellativo fondato sul nulla e utilizzato a sproposito per legittimare alleanze elettorali). E ancora sono state offese parole come “democrazia” (adoperata per esempio per coprire il narcisismo dei giornalisti tv che vorrebbero ospitare il faccia a faccia tra i leader e non ci riescono), “partecipazione” (strappata da chi pensa che la soluzione a tutti i mali sia togliere il finanziamento alla politica, e quindi proprio alla partecipazione), “moderato” (di cui si appellano personaggi che seminano odio come Giovanardi), “nuovo” (con cui si presentano ai cittadini personaggi che sono classe dirigente da decenni), “equità” (di cui parlano politici e tecnici che hanno governato producendo diseguaglianze). Si potrebbe continuare all’infinito. Con parole forti e importanti come “cambiamento”, “rivoluzione”, “libertà”, “legalità”, “radicalità”, “futuro”, “civismo”, “garantismo”, “crescita”, “trasparenza”. Tutte storpiate, e ammutolite.

LA CAMPAGNA ELETTORALE – Un processo inesorabile e che s’è cristallizzato nelle regole della politica nell’era della comunicazione. Che tutto fagocita e distrugge. Come spiegarsi altrimenti la visibilità data alle giacche di Formigoni, al cv di Giannino e all’indignazione pelosa di Zingales, alle bizze di Loretta Napoleoni, alle parolacce di Berlusconi, ai cani di Monti o Ruotolo. Come giustificare viceversa l’inseguimento in tutta Italia a Grillo, le proteste contro Crozza. O la quasi ossessione per le battute di Bersani o gli affetti di Vendola. Come considerare persino la banalizzazione offensiva delle dimissioni del Papa.

LA POLITICA PENSA A SE’ – E’ vero che il sistema politico è al collasso e che tira l’aria di una nuova tangentopoli. Ma questo non può bastare per capire in che Paese viviamo. Demonizzare la politica è un esercizio facile e autoassolutorio. La realtà è ben diversa e ha a che fare con la vita delle persone, con disagi e problemi, ambizioni ed entusiasmi, frustrazioni e delusioni. Desideri. La politica non l’ha voluto capire e ha curato gli interessi (spesso illeciti) di se stessa. Anche l’informazione se n’è disinteressata, stretta tra la pigrizia, le ragioni dell’economia, l’egocentrismo e la voglia di potere. È per questo che i giornalisti fanno gli opinionisti, i moralizzatori o i teatranti e non sanno più fare le domande, per questo sono scambiate per buona informazione i microfoni sbattuti in faccia alla gente e per inchieste le informative dei carabinieri, per questo sui giornali o in tv si avverte un insopportabile stupore nello scoprire – da Grillo agli operai, dai ricercatori alle donne – che esiste un mondo al di fuori degli editoriali fintoprovocatori di Battista o polverosi di Scalfari.

LA SOCIETA’ CIVILE. COSIDDETTA – Non è colpa però solo della politica, solo dell’informazione. E’ colpa innanzitutto della società civile, la cosiddetta società civile espressione – anche questa – abusata, svilita, offesa. Si vivono come società civile Silvio Berlusconi (l’imprenditore che scende in campo), Mario Monti (il tecnico che sale in politica), Luca Cordero di Montezemolo (un “mille incarichi” che si mette a disposizione del Paese), Oscar Giannino (il giornalista costretto a liberarci dal declino), Beppe Grillo (il comico costretto a rivoltare l’Italia come un calzino), Antonio Ingroia (il magistrato che tornerà a fare il magistrato). E anche dentro il Pd e Sel sono in tanti a essere espressione dalla società civile. Mille espressioni della società civile, comprese le associazioni, i comitati, i movimenti, gli ordini professionali, le associazioni di categoria, le lobby (più o meno legali), animati da un logoro ceto politico (seppure declinato nei vari settori) e che pure si sente depositario unico e irripetibile del titolo di “civico” e della legittimazione a distribuire patenti per buoni e cattivi. Il risultato, di solito, è duplice: si inocula veleno nella politica, ma della politica si acquisiscono presto vizi e virtù. E così dire “società civile” non ha più nessun senso.

LA RINUNCIA ALLA COMPLESSITA’ – Così tutto si confonde in una corsa deteriore verso la semplificazione (altro che semplicità) di maniera e la rinuncia a comprendere la realtà, che costruisce mostri e cancella le differenze, appiattisce i percorsi invece che valorizzare le esperienze. Così se è vero che in questo Paese ci sono donne e uomini che si spaccano la schiena per lavorare e costruire, è anche vero – e sempre di più – che troppe cittadine e cittadini (i navigatori, gli utenti, il pubblico pagante o adorante, comitati, movimenti) si sentono portatori della verità, non hanno mai dubbi e macinano certezze. Sono massimalisti nell’atteggiamento e non radicali nelle scelte, autoritari nelle pratiche e non autorevoli nelle relazioni, praticano il giustizialismo e non si occupano della giustizia sociale.

LA SOCIETA’ CHE C’E’ – Hanno costruito – a vario titolo, con ruoli diversi – un modello sociale in cui si chiede la fine della casta senza immaginare una via d’uscita, in cui il comitatismo e la politica dal basso sono positivi di per sé, in cui va bene evadere le tasse o non rispettare gli impegni, in cui la corruzione e la mafia sono falsi problemi, in cui è naturale agire con l’indice puntato e animare tribunali da santa inquisizione, in cui si chiede vendetta e non giustizia, in cui si chiede giustamente il taglio degli stipendi ma si ammette il licenziamento di una donna perché incinta. O hanno costruito un’idea di Paese dove non conta il segno delle scelte economiche, dove non si devono mai spiegazioni e risposte, che ha come riferimenti culturali soltanto le banche europee, che considera il sindacato un problema, in cui ci si bea della purezza inconcludente delle bandiere, in cui anche l’amore può essere un problema e gli stranieri non hanno diritti di cittadinanza.

LA DISCUSSIONE VIZIATA – Politica, informazione e società civile – insieme – hanno perciò costruito una discussione pubblica viziata e falsata. Da luoghi comuni, banalizzazioni, share e assenza totale di curiosità. Il risultato è che mentre si impartiscono lezioni dall’alto della società civile può succedere (è accaduto) che sei un imprenditore e fai solo leggi ad personam, che sei un tecnico vai in Germania e torni dicendo bugie da quattordicenne sui tuoi colloqui di Stato, che sei una professoressa e sbagli i calcoli e lasci per strada decine di migliaia di esodati, che sei un comico che vuole cambiare l’Italia e non scrivi neppure la parola mafia nel tuo programma, che sei un magistrato e proponi di togliere le garanzie processuali o sei un magistrati e hai fatto tangentopoli e il tuo avvocato lo beccano con le mani nel sacco, che sei di un comitato a cinque stelle di brave e oneste persone e chiamano la polizia per sedare una rissa durante una riunione per decidere le candidature, che sei di uno storico centro sociale o un’associazione meritoria e la tua spinta l’hai esaurita cinque o 10 anni fa e non te ne riesci a rendere conto. Può succedere, è già successo. Per questo sono inammissibili, oltre che incomprensibili le rendite di posizione e le diversità etiche e politiche che si pretendono di avere.

L’ASSENZA DELLE IDEE – Attaccare a testa bassa la politica oltre a non essere particolarmente originale ed essere piuttosto redditizio in termini elettorali (Lega e Berlusconi insegnano) è banale, inutile, comodo. Persino colpevole. Certo, anche la denuncia merita attenzione e rigore, anche la protesta. Sono fenomeni reali e grandi. Ma le rivoluzioni e i grandi cambiamenti sono stati frutto di spinte sociali fortissime, di impeti popolari e anche di grandi idee. Senza le idee sono rivolte populistiche, non popolari. Riforme per le élite, non per il popolo. La soluzione allora è nella fatica della partecipazione senza pregiudizi, nel mettersi in discussione anche con asprezza, nella pratica concreta della trasformazione, nel ragionamento fondato sul coraggio e la passione, lo spirito critico e il rigore. Il semplice cambiamento non serve, serve un cambiamento con delle qualità. Che ciascuno può scegliere. Ma che può esistere davvero solo se si assume il metodo della complessità dall’analisi, la comprensione delle contraddizioni, l’obiettivo del miglioramento della vita delle persone. Perché non è un buon Paese quello che confonde il disagio con l’indolenza, la paura con la codardia, l’insicurezza con l’ incapacità, la fame con la delinquenza, il diritto con il favore, l’innocente con il colpevole. Solo allora le parole torneranno ad avere il loro significato. Allora politica, informazione e società civile avranno di nuovo senso e compiutezza. E il Paese sarà migliore. Buon voto a tutti.

Nuove parole per l’antimafia

Non ha affatto ragione chi richiama l’espressione dei “professionisti dell’antimafia”. Primo perché Sciascia non l’ha mai scritta, secondo perché l’uso che se ne fa è spesso strumentale e serve a delegittimare furbescamente chi la lotta alla mafia la fa davvero.
L’espressione è impropria, eppure il problema c’è anche se per molto tempo abbiamo finto di non accorgercene provando a salvaguardare una unità nella lotta alle mafie che pensavamo fosse utile. E, per la verità, in una prima fase ci siamo riusciti. Oggi però quell’unità non c’è più. E anche la lotta alle mafie – dalle istituzioni ai partiti ai movimenti – dopo anni di risultati importanti segna il passo. Per questa ragione, è necessario per l’antimafia ripensare il suo percorso. Da qualunque punto di vista la si voglia praticare. Continue reading