Un compromesso al ribasso

Un anno in 14 pagine. Il racconto della vita di un Paese in bilico, il tutto letto attraverso cinque parole chiave, quelle che «ridisegnano la nuova Italia»: credibilità, coesione, responsabilità, legalità e visione.

Mario Monti ha voluto celebrare così, con un documento dal titolo “Un anno dopo – Appunti di viaggio” pubblicato sul sito di Palazzo Chigi il suo primo anno al governo. Ha rivendicato per la sua squadra di tecnici il merito di aver salvato l’Italia dal baratro e di averla proiettata nel futuro. Un futuro che nell’analisi del premier sembra non potere prescindere da lui visto che, durante il suo viaggio in Kuwait a caccia di investimenti arabi, lo stesso Monti sul “dopo Monti” ha avuto modo di dire: «Dopo il voto non garantisco sull’Italia». Una caduta di stile.

Ma quale che sia il pensiero di Monti, restano tutti da sciogliere alcuni nodi sul primo anno dei tecnici nella stanza dei bottone. Perché questo esecutivo, che pure sceglie  “legalità” come parola chiave, nulla dice sulle mafie, la criminalità organizzata, la presenza dei clan nel tessuto economico e sociale del Paese. La conferma plastica del fatto che questo governo non considera il contrasto alle cosche una priorità e una scelta strategica. Si può obiettare che avere scelto “legalità” è già un segno, visti i precedenti. Eppure nel documento si fa riferimento soltanto alla lotta all’evasione fiscale (giusta,ma in linea con gli altri governi) e alla legge anticorruzione. Una legge sbagliata e inefficace, che di anticorruzione ha poco più che il nome. Non sono casuali le critiche – di Csm e Anm e anche dell’ufficio studi della Corte di Cassazione – che mettono in crisi l’impianto a proposito della prescrizione, del reato di “corruzione tra privati”, del reato di  concussione. Senza contare che sono rimasti fuori dalla normativa l’autoriciclaggio, il voto di scambio e il falso in bilancio. Un compromesso al ribasso, che rischia di addirittura di peggiorare la situazione e rappresenta soltanto una foglia di fico per un Parlamento che sulla lotta al crimine è delegittimato. Dai fatti. Per questo il ministro della Giustizia Paola Severino, dopo le bocciature avute dagli operatori della giustizia e non dai giustizialisti di professione, invece di inorgoglirsi dovrebbe con onestà ammettere l’errore e cercare di porvi rimedio prima delle elezioni o, eventualmente, dimettersi. Ma i “professori” al governo hanno già imparato a negare persino l’evidenza, come è abituato a fare ogni buon “politico”. Di farsi da parte, del resto, non hanno nessuna voglia e non vedono l’ora di fare il bis.

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