“Passaggio di testimone” – Beppe Alfano

Da “Passaggio di testimone – undici giornalisti uccisi dalla mafia e dal terrorismo”.(Navarra editore)

Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Carlo Casalegno, Peppino Impastato, Mario Francese, Walter Tobagi, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano.  Undici autori, undici storie, undici professionisti del giornalismo militante che hanno perso la vita per il loro desiderio di chiarezza e di giustizia, raccontati da chi oggi continua a denunciare con la stessa forza le storture della nostra società.

Gli autori di Passaggio di testimone sono: Roberto Alajmo, Francesca Barra, Gianpiero Caldarella, Mike Gambino, Danilo Chirico, Sergio Nazaro, Sandra Rizza e Peppino Lo Bianco, Maria Luisa Mastrogiovanni, Franco Nicastro, Claudio Fava, Elena Ciccarello.

Danilo Chirico. La storia di Beppe Alfano. 

Di sicuro non ci campi. Se abiti in un paese del Sud e fai il corrispondente per un quotidiano di sicuro non ci campi.
Cinquemila lire o cinque euro a pezzo non possono bastare, neppure se ti ci dedichi notte e giorno. E poco importa se scrivi bene, se le notizie che hai finiscono in prima pagina, se le porte di municipi e commissariati per te sono sempre aperte, se insomma sai fare il tuo lavoro.
Di sicuro con la tua collaborazione non ci campi, non puoi.
Ecco perché nei paesi del Sud i cronisti sono giovanissimi e coltivano il sogno di farsi notare per andare via. Oppure sono maestri e professori,postini e impiegati comunali, baristi e commessi e amano scrivere. Per entrambi, la variabile del tempo è centrale: per loro il tempo non basta mai.
I giovanissimi sono “a scadenza”, gli adulti sono part-time. A volte però succedono cose strane, e interessanti. Perché se non ami i banchetti e ti bei dei tagli del nastro,e magari sei curioso e non ti fidi se dicono che vivi in un posto normale, allora il cronista lo puoi fare.
A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, Barcellona Pozzo di Gotto è per tutti un posto normale. Anzi, se pensi al fatto che sei in Sicilia, e cioè nel regno di Cosa nostra, un posto così te lo tieni ben stretto. È una bella cittadina di mare e dal balcone di casa puoi vedere le Eolie, per strada non vedi drogati e dei mafiosi non ci sono tracce evidenti.
E in fondo, non c’è niente da segnalare neppure in politica, se non il solito potentato legato alla Dc di Salvo Lima e qualche oscuro personaggio del Msi (che farà carriera).
Se queste stesse cose però le osservi con altri occhi puoi accorgerti che Barcellona è un posto tanto normale da essere più normale degli altri.
Perché qui per costruire il teatro, il palazzetto dello sport o l’ospedale ci si può impiegare anche più di vent’anni, e chissà quanti sprechi, qui i morti ammazzati per le strade possono essere anche a trenta all’anno, qui girando per le campagne puoi scoprire veri e propri cimiteri non autorizzati,qui sindaco e assessori vanno in tv e non rispondono alle domande degli ascoltatori e se insisti troppo quella tv te la fanno pure chiudere, qui succede che il Comune si listi a lutto per la morte dei massoni e dei mafiosi e non per quella degli onesti.
Se poi guardi attorno a te con un po’ più di attenzione, scopri che – sempre qui – possono nascere e maturare le truffe alla comunità europea e che sindaci e consiglieri, giudici o presidenti di ordini professionali troppo spesso sono decisi – chissà come – dentro le stanze di associazioni paramassoniche.
E se, infine, metti insieme i pezzi delle cose che vedi, capisci che può capitarti di non poterti fidare neppure dei tuoi compagni di partito o dei tuoi amici,che Barcellona è un porto franco per i clan, un rifugio formidabile per latitanti, un crocevia di interessi e affari, un luogo ospitale per la massoneria,una piattaforma logistica di contatto per droga e armi tra siciliani e calabresi, una retrovia strategica per Cosa nostra. Perché non è irrilevante se dentro il manicomio criminale sta rinchiuso un uomo che si chiama Nino u pazzu Santapaola o se lì fuori vive sotto falso nome anche un altro Santapaola che di nome invece fa Nitto che è suo fratello ed è il boss che regna su Catania e la Sicilia orientale. Perché conta, e pure parecchio, se personaggi del calibro di Francesco Rugolo (alleato con i catanesi) e Pino Chiofalo (che ha rapporti con la camorra) si fanno la guerra, se entrano al centro della scena personaggi come Giuseppe Gullotti, che è un uomo di Nitto Santapaola ma viene dalla città-bene e ha la fedina penale immacolata. Tanti sanno ciò che sfacciatamente accade a Barcellona. Eppure nessuno ne parla: mai si sono provate le collusioni tra clan, borghesia e politica.
E allora, come spesso succede al Sud,tu pensi che in fondo è meglio godersi lo spettacolo delle Eolie e vivere tranquilli. Ma c’è chi pensa che di tranquillo vivendo così non c’è proprio nulla.E per questo decide di scavare e fare domande, di cercare le risposte. Si chiama Beppe Alfano, questo qualcuno.
Ed è tante cose. Un vero cronista, per la sua curiosità e professionalità. O un cronista part-time, visto che campa insegnando educazione tecnica.
Un giornalista “rompicoglioni”, come l’ha definito Riccardo Orioles che di “rompicoglioni” se ne intende. O un non giornalista, dato che l’ordine l’ha iscritto all’albo solo dopo morto. Beppe Alfano l’hanno ammazzato troppo giovane, che non aveva neanche cinquant’anni,la sera dell’8 gennaio 1993. Se l’aspettava, e lo andava dicendo da tempo: “È questione di giorni”, ripeteva ai suoi familiari terrorizzati.
Per questo, aveva fretta di raccontare, di scrivere, di provare – a modo suo – a far cambiare le cose.
Non ha fatto in tempo. L’hanno ammazzato, Beppe Alfano. E hanno tentanto di screditarlo e farlo dimenticare: hanno detto che è stato ucciso per una storia di gioco, per una storia di donne.
Le mafie questo gioco lo sanno fare benissimo, lo fanno ogni volta. Il gesto più infame, che Barcellona non ha saputo respingere, per troppi anni.
La storia di Alfano è quella di tanti al Sud. Cittadine e cittadini perbene. È la storia di tutti quei bravi giornalisti che vivono in un paese, che ne conoscono personaggi e interpreti, segreti e bugie.
Che ne scrivono per pochi spicci. E che per questo vengono minacciati o ingannati, emarginati o offesi.
Ho conosciuto tantissimi cronisti locali, con molti di loro ho lavorato. Hanno fatto, e continuano a fare, quello che faceva Beppe Alfano: raccontano di Rosarno e Locri, Gioia Tauro e Siderno.
Di tanti altri posti, sperduti o dimenticati come Barcellona. Dove la sera scrivi un pezzo e la mattina dopo al bar bevi il caffè con il protagonista di quel pezzo.
Dove puoi aver paura anche se ti senti a casa. Dove resisti e decidi di restare. O dove resisti e decidi di andare via.
Quasi nulla mi lega alla storia di Beppe Alfano. Che era uomo di destra, che era stato assieme ai picchiatori di Ordine nuovo (anche se ne aveva preso le distanze) e poi nel Msi, che aveva un’idea molto legge e ordine della società, che faceva il professore di educazione tecnica, che faceva il corrispondente per La Sicilia di Mario Ciancio, che quasi mai nei suoi scritti ha usato la parola mafia. Ed è strano che debba essere io a ricordarlo. Ma forse è proprio per questo punto di vista così diverso che è interessante provare a (ri)scoprire la sua curiosità e la voglia di cambiare, le sue delusioni politiche e le rivincite giornalistiche, il suo acume e la capacità di tenere legati i pezzi di una complessa e piena di sotterranei bui come Barcellona. Soprattutto il rispetto per il giornalismo e l’attenzione per i ragazzi spesso senza speranza della sua città. Negli anni Ottanta a Barcellona dentro il manicomio criminale c’era Ninu u pazzu e faceva il bello e il cattivo tempo.
Oggi dentro l’ospedale psichiatrico giudiziario c’è un progetto sperimentale avanzatissimo che si chiama “Luce è libertà” grazie al quale sono stati già liberati 60 internati.
Chissà che non c’entri il fatto che da quelle parti ha vissuto un “rompicoglioni”.

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