Se la Polverini ha mentito

“Ora dirò tutto ciò che, per senso dello Stato, non ho reso pubblico. Ho visto cose allucinanti”. Ha detto proprio così Renata Polverini ieri sera nel corso della rancorosa conferenza stampa durante la quale ha annunciato le sue dimissioni. Una dichiarazione pesante, tra tante per la verità in queste ore. Che racconta alcune cose del passato, del presente e anche del futuro della governatrice dimissionaria.

LA POLVERINI HA MENTITO – La prima cosa che dicono queste parole è che Renata Polverini ha mentito. Lo ha fatto ieri o lo ha fatto durante l’intera scorsa settimana. Dobbiamo credere alla Renata Polverini che dice di avere vissuto con disagio nel Sistema-Regione per due anni e mezzo e di essere a conoscenza da tempo delle peggiori malefatte dei consiglieri regionali del Pdl o piuttosto dobbiamo dare credito alla governatrice che per una settimana ha interpretato (emblematica in questo senso è stata la sua apparizione a Piazza Pulita su La7) la parte di chi non s’è mai accorta di nulla di quello che le accadeva intorno? Nessuna delle due alternative è tranquillizzante.

IL SENSO DELLO STATO – Ma dicono anche un’altra cosa importante le parole della Polverini. Proprio mentre si appella a un presunto senso dello Stato, la governatrice dimostra di farne un uso perlomeno singolare. Se un cittadino (prima ancora che un amministratore) è a conoscenza di “cose allucinanti” (sprechi o reati che siano) ha il dovere di denunciare alla magistratura o in consiglio regionale ciò che sa. In due anni e mezzo l’ex sindacalista dell’Ugl non lo ha mai fatto. Se invece davvero è stato il senso dello Stato a convincerla a non parlare, non si capisce (o forse sì) perché oggi abbia deciso di agitare come una clava la minaccia della sua testimonianza. Il senso dello Stato non si richiama a giorni alterni.

LA SCONFITTA – Altri due elementi, tutti politici, emergono dalla gestione della crisi. La governatrice ha perso in malo modo la prova muscolare lanciata in consiglio lunedì scorso. Il tentativo di avviare con il suo governo (“pulito”, rivendica) una stagione di riforme si è infranto in maniera maldestra dopo appena sette giorni. Segno dell’inadeguatezza della sua strategia che s’è scontrata con le resistenze del Pdl, con l’incostistenza del suo movimento, con gli infortuni di immagine (come la foto che la ritrae sorridente alla festa di De Romanis), con la perdita del sostegno dei vescovi che pure tanto si erano spesi per farla eleggere appena due anni e mezzo fa.

LA VOGLIA DI RISSA – Il secondo elemento riguarda invece la voglia matta che Renata Polverini sembra avere di scatenare una rissa per affrontare la pur aspra polemica politica. A questo sembrano dovuti, per esempio, gli attacchi ai consiglieri regionali accostati a “tumori” o appellati come “indegni”. Non è solo una questione di forma o di stile (l’ex sindacalista ci ha abituati sia all’eleganza nel salotto di Ballarò sia alle perforance di insulti e parolacce come nel celebre comizio di Genzano nel maggio 2011), è anche una questione di sostanza: “buttarla” in confusione significa rendere più difficile l’accertamento delle responsabilità, penali e politiche.

A TESTA ALTA – E’ questa la governatrice che esce “a testa alta” dalla Regione. Una Polverini che voleva indossare i panni della moralizzatrice e che invece esce ammaccata e sporcata (nell’immagine) da una vicenda complessivamente complicata e soprattutto deprimente.

QUALCOSA DI OSCENO – Il quadro è composto infatti da una giunta inefficace e senza più la fiducia di partiti e cittadini e da un consiglio (presieduto da Mario Abbruzzese, primo nemico della Polverini) finito nel mirino di tutta la stampa italiana per la mole gigantesca di sprechi di cui s’è reso protagonista (e che neppure il piano dei tagli è riuscito a completare). In questo contesto i partiti sono allo sbando: il Pdl è solo teatro di una guerra tra bande dall’esito imprevedibile, l’Udc ha preso ordini dalla Cei ed è diviso sul da farsi (e ha già riaperto i canali con il Pd), la Lista Polverini cerca una nuova collocazione, mentre l’opposizione (Pd, Sel, Idv, Fds e Verdi) solo in ritardo ha saputo trovare la forza per uno scatto di reni. Un discorso a parte meritano i radicali: l’ultimo partito a dare la disponibilità alle dimissioni.
È una pagina che ha qualcosa di osceno quella appena vissuta. Non possiamo permettere che ci ricapiti.

 

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