1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi)/2 – Intervista allo storico Bevilacqua

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Considera la casualità come un dato di partenza per partecipare a questo ragionamento sul 1980: «Diamola per scontata», avverte. È un gesto di prudenza assolutamente necessario per uno studioso. Poi però concede: «Bisogna fare una riflessione di metodo: il caso fa parte della storia e non bisogna stupirsi se esiste una coincidenza di eventi che si somigliano, creano coerenza, appaiono collegati». E allora con il professore Piero Bevilacqua, ordinario di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, inizia una rassegna sui tratti distintivi del 1980. A partire dallo scenario internazionale. «È indubbio che il 1980 segna una fase nuova – dice – e non solo perché come storici, simbolicamente, vediamo il punto di partenza di una nuova fase del capitalismo e di riorganizzazione dello Stato», ma anche perché «effettivamente si entra in un decennio che segna una svolta di molti elementi». Spiega infatti che soprattutto negli Usa e in Gran Bretagna «si manifesta una crisi fiscale dello Stato sociale, i ceti medio-alti considerano sbagliata la progressività del sistema fiscale e troppo caro il welfare. Accusano di parassitarismo le fasce deboli». Basti pensare che «il sussidio di disoccupazione in Gran Bretagna è talmente ricco da disincentivare la ricerca del lavoro» e che complessivamente «la popolazione invecchia e pesa molto sul sistema pensionistico». Un quadro – che si aggiunge al fatto che il modello dell’Urss di Breznev «è incapace di indicare prospettive nemmeno per se stesso» – che «favorisce la politica di Margaret Thatcher (iniziata nel ‘79)» e spalanca le porte a Ronald Reagan nel 1980.

Ecco quindi l’analisi dello storico di origine calabrese: «Gli anni 80 sono l’avvio di una fase storica nuova – spiega – in cui il capitalismo e l’elite borghese propongono un nuovo progetto di società». Ricorda Bevilacqua: «Quando Reagan si insedia – insiste – pronuncia la famosa frase “Lo Stato non è la soluzione, lo Stato è il problema” che rappresenta una novità storica assoluta per l’Occidente». Su queste basi, unite a «un’economia bloccata», nasce una svolta, spiega Bevilacqua. «A questo punto qualcuno tira fuori dalla tasca una grande suggestione: la proposta neoliberista». Che significa «meno Stato e più libertà ai privati». Un messaggio di «promessa di arricchimento» che «si articola in liberalizzazioni e nella vendita di pezzi importanti dell’economia pubblica, un messaggio di libertà dalla burocrazia e dai vincoli». Un messaggio che fa presa su larga parte della società ed esercita la sua fascinazione anche «sui partiti della sinistra».

Naturalmente la situazione internazionale non può non esercitare la sua influenza anche sul nostro Paese: «In Italia c’è il blocco dei partiti – afferma Bevilacqua – con una Dc che è diventata partito-Stato e un Pci che è cresciuto ma non appare in grado di essere alternativa». La soluzione, sottolinea lo storico, «viene intravista in Craxi e in un piccolo partito che si presenta come portatore di un messaggio di modernizzazione neoliberista, di esaltazione del privato, dell’effimero, dell’arricchimento individuale». Lungo queste linee teoriche «nascono le famose esortazione di Craxi (“Italiani arricchitevi”) o realtà come “la Milano da bere”», rileva. Soprattutto lungo queste linee teoriche e politiche nasce il fenomeno Silvio Berlusconi. «Berlusconi si inserisce nell’alveo di questo mutamento epocale di cultura, psicologia, immaginario – osserva Bevilacqua – che inizia nel 1980 e si chiude con la crisi del 2008, come dimostra anche la “Breve storia del neoliberismo” scritta da David Harvey che, tra l’altro, dimostra che il Pil mondiale nell’ultimo trentennio sia cresciuto molto meno che nelle epoche precedenti». Su questo, il Bevilacqua-studioso precisa: «Voglio dire però che in nessuno degli scritti su Berlusconi, anche quelli molto seri, sono davvero evidenti i legami con il neoliberismo e la sfida che i ceti dominanti hanno lanciato alla sinistra e al movimento operaio». Aggiunge un’annotazione che andrebbe considerata nei commenti in voga in queste settimane sulla crisi di un’era politica: «Berlusconi finisce anche perché è finito il neoliberismo».

Poi il discorso torna agli eventi del 1980, ai tanti fatti importanti accaduti in quell’anno. «Diciamo che questa temperie storica – sottolinea Bevilacqua – unisce realmente gli episodi, li rende meno casuali, più figli dello stesso periodo». Poi aggiunge che visto che «dobbiamo calcolare la nostra soggettività e dobbiamo osservare anche che siamo portatori di idee di connessione» e visto che «conosciamo il sottofondo mondiale», possiamo «avere una lettura meno ingenua della casualità». Sono fatti importanti quelli del 1980, che – magari forzando un po’ le parole di Piero Bevilacqua – potrebbero avere (o trovare) una connessione. Quel che appare evidente è l’incidenza che hanno sulla realtà contemporanea, la capacità di proiettarsi nel 2010. Eppure, secondo lo storico, purtroppo parlano «pochissimo all’Italia di oggi. Perché viviamo in nell’epoca della dittatura del presente, in cui le notizie vengono consumate subito per vendere le nuove». Se questa classe dirigente avesse scelto di guardarsi indietro forse avrebbe capito qualcosa in più. «La storia aiuta sempre – sentenzia con un certo orgoglio Bevilacqua – e gli anni 80 fanno capire molte cose». È in quel periodo che «in Italia si arriva a un elevato grado di benessere ma con un crescente debito pubblico». In quel periodo cresce il mito individualistico «che ha impedito di fare due cose fondamentali: una legge urbanistica in grado di impedire il saccheggio del territorio e una legge per progettare i trasporti collettivi nelle città e tra le città e le periferie». Gli anni 80 mostrano insomma tutti «i limiti di una politica che esalta l’individualità privata e che fallisce». Non una battuta, ma un pezzo di un ragionamento più ampio, di un percorso di studio che l’ha portato a scrivere un libro (“Capitalismo distruttivo” in uscita per Laterza a gennaio) in cui «provo a fare il resoconto dell’ultimo trentennio». Il risultato è demoralizzante: «C’è meno crescita e più disuguaglianza», ci sono «il saccheggio del territorio, lo sfruttamento delle risorse del pianeta e il peggioramento della qualità della vita». E questa crisi strutturale, prevede, «è un disastro che durerà a lungo».

Ci sono altre due cose che alla fine della conversazione Piero Bevilacqua dice. La prima riguarda la partecipazione politica, e gli viene fuori sul filo del ricordo, della passione: «Nel 1980 siamo dopo l’omicidio di Aldo Moro: le Br entrano in crisi e tutta la responsabilità viene messa sulle spalle della sinistra, delle lotte per i diritti. Ricordo come fosse ieri – aggiunge – che pensare a una manifestazione di massa era considerato un atto politico osceno». La seconda si riferisce ai troppi misteri d’Italia, che nel 1980 hanno in Ustica e nella strage di Bologna due capitoli essenziali: «I misteri incidono sempre rapporto di sfiducia nelle classi dirigenti», tanto che «qualcuno ha teorizzato l’esistenza di un doppio Stato, uno reale e l’altro segreto». E in questo Paese «c’è un grande deficit di democrazia. Parte della classe dirigente è sempre stata infedele allo Stato e nei momenti di crisi ha cercato l’eversione. Vale per il fascismo, per i tentativi di colpo di Stato, per la strategia della tensione, per la P2». E chiude: «Anche Berlusconi è eversivo». Parola di storico.

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