Sorpresa, a Roma ci sono i mafiosi

E’ la storia che si ripete. Seguendo in maniera mal- destra il canovaccio di sempre. A Roma si spara, si sequestrano locali in pieno centro, si ricicla denaro per miliardi e le reazioni sono sempre le stesse. Da venti anni, forse di più. Ripetitive, irresponsabili, sorprese. Eppure che anche a queste latitudini le mafie siano una realtà può essere una novità solo per chi finora non ha saputo o, peggio, voluto vedere. È il lontano 1991 quando la commissione parlamentare Antimafia scrive: «I fatti, meglio sarebbe dire i cadaveri che insanguinano la Capitale, danno ragione a chi sostiene l’esistenza in Roma di una criminalità organizzata operante secondo gli stilemi delle associazioni mafiose». Fa anche nomi la Commissione, spiega fatti e circostanze, ricostruisce scenari. Parole pesanti, che avrebbero dovuto mettere in guardia sin da allora. S’è preferito invece chiudere gli occhi, parlare di sensazionalismo, gridare al complotto contro l’immagine ferita della città. Come quando la Direzione nazionale antimafia – ormai chissà quante volte – ha rilanciato l’allarme nelle sue relazioni annuali, come quando (per fermarsi soltanto agli ultimi anni) nel 2009 Libera informazione di Roberto Morrione ha pubblicato il dossier dal provocatorio titolo “Mafia e cicoria”, come quando l’Osservatorio regionale presieduto da Enzo Ciconte ha mappato la presenza dei clan, come quando a sistematizzare l’influenza delle cosche ci ha pensato il Silp Cgil. O, ancora, tutte le volte che le inchieste dei magistrati capitolini hanno svelato nuovi intrecci e interessi. Fino all’audizione del procuratore Diana De Martino davanti alla Commissione criminalità del Consiglio regionale del Lazio, in primavera, agli arresti di Enrico Nicoletti e di Giuseppe De Tomasi (ma non era morta la Banda della Magliana?), alla confisca definitiva del Cafè de Paris.

Qualcosa non va se stupisce così tanto che a Roma si può sparare e uccidere in pieno giorno, se quasi nessuno va a fondo ai nodi economici e sociali legati ai clan. Non bastano le manifestazioni rituali, le parole di circostanza, gli allarmi generici, l’invocazione di più pattuglie per strada. Serve un’assunzione piena di responsabilità. Che ancora non c’è. Forse è per questa ragione che appare così grottesco vedere il sindaco Alemanno, in piena emergenza criminalità, saltare sulla moto e “andare a caccia” di squillo, chiedendo a gran voce una legge contro la prostituzione.

(Mammasantissima, Paese Sera n. 4, Settembre 2011)