Primarie, troppe candidature: e se ci fosse una moratoria?

Le elezioni del 25 e 26 febbraio (con le analisi e i commenti politicisti di queste ore) arrivano come una tempesta sulle Comunali. E interrogano già dalle prossime ore il centrosinistra che si prepara a difficilissime primarie.

LE ELEZIONI – I risultati dicono per esempio che, con i numeri delle Politiche, Gianni Alemanno sarebbe travolto e ci sarebbe, come in tanti hanno osservato, un ballottaggio tra il candidato del centrosinistra e quello del Movimento 5stelle con il rischio di vedere anche nella Capitale uno scenario come quello di Parma, in cui la destra al secondo turno ha votato Pizzarotti. Dicono anche, per esempio, che non ci sono più roccaforti per nessuno, visto che il Movimento 5 Stelle ha avuto un’affermazione fortissima nelle periferie dove ha avuto il suo radicamento la sinistra. Due campanelli d’allarme da non sottovalutare.

LA VIA D’USCITA – Ma dalle tornata elettorale viene fuori anche un altro importante segnale: la vittoria di Nicola Zingaretti alla Regione. Il neogovernatore, che pure tanti anche nel Pd hanno osteggiato, s’è affermato perché ha puntato sul rinnovamento dei candidati (seppure con qualche riciclato di troppo) e la trasparenza, ha praticato la partecipazione, ha proposto un’idea di governo, mettendo in campo credibilità personale e programmi. Si è fatto tesoro di un’esperienza di governo alla Provincia e di un lavoro per la candidatura a sindaco (poi saltata) che comunque era servita a tessere relazioni con la società romana. Sarà davvero un buon governatore, Zingaretti? Si vedrà, a partire dalle scelte che opererà sulla giunta (alcuni nomi che circolano in queste ore lasciano ben sperare, altri proprio no). Quel che è certo è che ha sconfitto la destra spavalda di Francesco Storace, annullato il ruolo politico dei montiani che pure ambivano alla centralità nello scacchiere politico, limitato l’affermazione dei grillini.

LE PRIMARIE – E’ allora il modello Zingaretti la soluzione giusta per il Comune? Forse, ogni elezione ha una storia a sé. Di certo però è destinata al naufragio la strada percorsa in questi mesi, con primarie convocate e rinviate, regole stabilite e subito messe in discussione e soprattutto con il fiorire di candidature a pioggia. Umberto Marroni (Pd), David Sassoli (Pd), Paolo Gentiloni (Pd), Patrizia Prestipino (Pd), Gemma Azuni (Sel), Luigi Nieri (Sel), Paolo Cento (Sel), Alessandro Bianchi (area Pd), Mattia Di Tommaso (Psi): sono questi i candidati al momento alle primarie del centrosinistra. A questi si devono aggiungere Sandro Medici (che sta nell’area che non è riuscita a entrare né in Parlamento né in Consiglio regionale), qualche esperienza di movimento e, forse, il costruttore Alfio Marchini che ha lanciato un’imponente campagna di comunicazione, sta girando la città in lungo e in largo ed è tentato dalle primarie del centrosinistra. C’è poi l’incognita Goffredo Bettini che un giorno sì e l’altro pure attacca il suo partito (ancora il Pd), minaccia di partecipare alle primarie e lavora per la candidatura di Ignazio Marino (Pd).

M5S LEGITTIMATO A GOVERNARE – Un quadro fumoso dentro il quale il centrosinistra già rischiava di riconsegnare la città ad Alemanno e che oggi può avvantaggiare il M5S. Perché sono cambiati gli equilibri e i rapporti di forza, perché il centrosinistra vive un momento di crisi strutturale, perché i grillini adesso sentono di potercela fare. Non solo. Anche perché – cosa non proprio trascurabile – l’offerta di governo che Bersani ha rivolto a Grillo (che venga accettata o no) ha di fatto trasformato il Movimento in una forza legittimata a governare facendo venire meno uno dei principali argomenti contro i 5Stelle.

VERSO QUALI PRIMARIE – Tra pochi giorni (il 7 marzo, ma si lavora a un rinvio) si dovranno presentare le candidature per le primarie del 7 aprile. Un passaggio fondamentale, che certamente può servire a riattivare energie e idee. Eppure un passaggio che, alla luce di questo cambio di fase, rischia di somigliare più a un regolamento di conti interno ai partiti piuttosto che a un momento di partecipazione vera e consapevole. Per rendersene conto basta leggere le sortite liturgiche (alcune anche grottesche) di queste ore.

UNA MORATORIA SULLE CANDIDATURE – Ecco perché oggi, per non correre il rischio di andarsi a schiantare, il centrosinistra farebbe bene a fermarsi e riflettere, ascoltando con attenzione l’ansia e la preoccupazione che si avvertono nel mondo delle associazioni, dei movimenti, nella base dei partiti. Si stabilisca quindi una moratoria delle candidature nel centrosinistra, alle primarie o alle comunali: si riparta da zero, accantonando ambizioni, personalismi, tatticismi, contrasti. Si faccia un passo indietro e si metta a disposizione della città la propria esperienza. Si dia la dimostrazione di avere colto fino in fondo il passaggio che il sistema politico sta attraversando, con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi.

IL NUOVO INIZIO – E subito dopo si riparta. Dalle insufficienze però, non dalla certezza di avere la ricetta in mano. I tempi sono strettissimi, certo. Così come il sacrificio che si chiede è molto pesante. Ma dare un segnale è necessario. Solo allora si decida se e come fare le primarie, che restano il percorso da privilegiare ma che – come hanno dimostrato le Politiche e le Regionali – non sono la soluzione a tutti i mali. Solo allora vecchie o nuove candidature avranno un valore diverso (non è sui nomi questo ragionamento) e la competizione, oltre che sui nomi, sarà finalmente su un’idea di futuro. In questo modo, finalmente, le esperienze che in questi anni hanno fatto vivere la città potranno diventare progetto di governo e il centrosinistra – magari unito, in un punto di equilibrio più avanzato – potrà avviare un percorso davvero innovativo. Roma deve aprire un laboratorio nuovo, diverso nei programmi e nei protagonisti da quello di Rutelli e Veltroni. Deve prendere spunto da Zingaretti e provare ad andare oltre. Se il centrosinistra non saprà trarre insegnamento dalle elezioni appena passate, rischia di confinarsi in un’altra stagione di gloriosa opposizione.

Roma non più città aperta. La Capitale ai tempi di Alemanno

imagesI blitz squadristi dentro i licei “Giulio Cesare” e “Mameli”, gli insulti antisemiti sul web all’assessore del Municipio XI Carla Di Veroli, l’attacco al circolo Mario Mieli: sono soltanto gli ultimi episodi di intolleranza, razzismo e di apologia del fascismo che sono sempre più frequenti e preoccupanti. L’estrema destra si sente a suo agio in città e opera in maniera spavalda. E dalla destra istituzionale, che dall’estrema destra molte volte proviene, le prese di distanza appaiono soltanto di maniera e mai di sostanza.

Tutto nasce il giorno in cui Gianni Alemanno ha messo piede in Campidoglio, quando cioè festeggia in piazza la sua vittoria alle elezioni circondato senza troppo imbarazzo da tanti giovani, e meno giovani, che fanno il saluto romano. È quello il momento in cui la destra estremista o neofascista cittadina ha ritrovato (dopo la straordinaria sponda fornita da Francesco Storace governatore del Lazio) il crisma della legittimazione politica in città.

IL SALOTTO BUONO – È l’ingresso nel salotto buono. Così un numero impressionante di amici del sindaco, di vecchi camerati e missini, di esponenti della destra extraparlamentare o neofascista vanno a occupare posti chiave nella città che conta. Non è questo il luogo per raccontare le fin troppo note biografie di personaggi importanti come Antonio Lucarelli e Mario Vattani, Stefano Andrini e Francesco Bianco, Riccardo Mancini e Vincenzo Piso, Ugo Cassone e Alessandro Cochi, Vincenzo Piso e Giuliano Castellino, tuttavia è del tutto evidente che la macchina politica e amministrativa vicina al sindaco Alemanno (piena di crepe e che non ha certo dato prova di grandi capacità) è targata estrema destra. Non un reato, certo. Ognuno sceglie gli amici e i collaboratori che vuole. Ma un elemento significativo, pesante che ha creato un ambiente in cui i gruppi di neofascisti – tanti – che vivono in città si sentono a proprio agio, sanno di poter contare su punti di riferimento sicuri nel mondo delle istituzioni, dell’economia, della politica. Se a questo si aggiunge il modo criminogeno con cui la destra ha cavalcato il tema della sicurezza in campagna elettorale, le sortite intolleranti di Alemanno (e degli uomini e delle donne della sua giunta e del suo partito) nei confronti di migranti, rom e prostitute, il modo sprezzante e tutto mediatico di affrontare il disagio sociale seguendo una grottesca linea di “legge e ordine”, il disprezzo malcelato per i simboli dell’antifascismo e per la storia dei partigiani, le condanne di maniera (o le tirate d’orecchie) per i gesti razzisti o che incitano al fascismo, le conversioni sulla via di Damasco (che non hanno convinto nessuno) e il quadro è fatto.

UN QUADRO DEPRIMENTE – Ed è un quadro preoccupante e deprimente: racconta di una città che viveva una grande difficoltà e che – in preda all’ebrezza dell’evento – ha trascurato o voluto ignorare le sue fragilità e debolezze sociali ed economiche, politiche, pubbliche e private. In questa situazione precaria, l’arrivo della destra al governo ha dato un colpo fatale a Roma. Che sembra avere del tutto smarrito il senso di sé, non ha più rispetto per i suoi abitanti, oltraggia persino luoghi sacri come la scuola, tradisce la sua stessa comunità, prevarica e umilia i deboli, soffoca le differenze e le creatività, perseguita gli irregolari. Una città nera, in ogni senso.

TUTTO IN UN GIORNO – Succede allora che nella stessa giornata lo storico circolo omosessuale Mario Mieli denunci, ancora una volta, che “un gruppo di 4 ragazzi dalle teste rasate ha lanciato sacchetti di calce o gesso liquidi contro la facciata esterna del Circolo”. Succede che alcuni giovani che fanno capo a Blocco studentesco facciano blitz dal sapore squadrista nelle scuole “Giulio Cesare” e “Mameli” irrompendo al grido di “viva il duce” a volto coperto e armati di bastoni nei corridoi e nelle aule lanciando fumogeni. Succede che estremisti di destra vengano segnalati anche alla scuola “Avogadro”. E succede anche che sul web si trovino minacce gravissime per l’assessore del Municipio XI Carla Di Veroli che sul sito neonazista Stormfront viene definitita “omosessualista sfegatata” e “coccolanegri”. Ha una doppia colpa Di Veroli: s’è opposta all’intitolazione di una strada a Giorgio Almirante ed è nipote di Settimia Spizzichino, unica donna superstite della retata al Ghetto di Roma del 16 ottobre del 1943 (a cui, ha finalmente annunciato Alemanno, sarà dedicato il ponte dell’Ostiense). Tutti responsabilità del sindaco? Tutti fatti riconducibili alla macchina di destra che governa la città? Certamente no, non c’è nessun collegamento diretto. Ma non può essere una coincidenza se si contano a decine gli episodi di intolleranza, violenza, razzismo. Ci deve essere qualcosa che non funziona nell’ideologia che guida le scelte di questa giunta e di questa maggioranza, al di là delle dichiarazioni di queste ore (sul Mieli, peraltro, non ce ne sono state poi tante).

LA MOZIONE NON VOTATA – Meglio di qualunque commento, può spiegarlo la scelta – segnalata dal consigliere comunale del Pd, Paolo Masini – del gruppo Pdl e della Destra di non “sottoscrivere la mozione firmata da tutti gli altri gruppi che esprimeva solidarietà all’assessore Carla di Veroli e a tutta la comunità ebraica e che chiedeva inoltre la chiusura del sito Stormfront ed impegnava il sindaco di farsi promotore presso il Parlamento per l’approvazione di una legge che dia gli strumenti per perseguire i crimini informatici e la diffusione di idee che incitano all’odio razionale, all’antisemitismo e all’omofobia”. Replica il capogruppo Pdl Luca Gramazio: «Masini dice il falso. Ci mancherebbe altro: siamo pronti a votare la mozione di solidarietà a Carla di Veroli, vittima di attacchi inqualificabili e offensivi che meritano la condanna di tutta la città di Roma, anche nella prossima seduta consiliare. Perciò, preferiamo non rispondere ad inutili polemiche». Eppure la firma in calce alla mozione, che avrebbe permesso il voto ieri, non l’ha apposta. Nessuna parola di più. Solo che c’era una volta Roma città aperta. E che deve esserci ancora.

Che farà l’Udc? Cinque certezze e 5 domande

Le elezioni si vincono al centro. E’ attorno a questo mantra che discute in maniera ossessiva il Partito democratico: meglio allearsi con l’Udc e lavorare al Monti bis oppure aprire alla sinistra di Nichi Vendola e, magari, Tonino Di Pietro? Su questo discutono i dirigenti nazionali misurandosi su formule e alchimie che poco o nulla hanno a che fare con il consenso popolare. Sulla rottura di questa discussione sta provando a rafforzare la sua leadership Pier Luigi Bersani, su una forte caratterizzazione di centrosinistra e con il baricentro fondato sul contatto con i cittadini aveva costruito la sua candidatura al Campidoglio Nicola Zingaretti, capace di parlare ai moderati senza però cedere sui principi.

L’IMPROVVISA EMERGENZA LAZIO ha cambiato le carte in tavola. Una volta spostate alcune pedine nella scacchiera, è infatti del tutto naturale che si riaprano discorsi che sembravano ormai archiviati. E questo anche perché a Roma e nel Lazio conta forse più che altrove il peso del mondo cattolico e delle gerarchie vaticane. Così tra Campidoglio e Regione torna centrale la discussione su che cosa farà l’Udc, su dove troveranno la loro collocazione i centristi, i moderati, i cattolici. Uno scenario che avrà naturalmente ripercussioni anche a livello nazionale dove Bersani e Casini continuano a darsele di santa ragione.

IN QUESTE ORE CONVULSE, nelle quali il quadro si complica, almeno cinque cose sono chiare (anche se non tutte hanno lo stesso segno) e possono servire a leggere le prossime mosse dei partiti, dei candidati, degli schieramenti. La prima è che il perimetro dell’alleanza a cui faceva riferimento la candidatura di Nicola Zingaretti a sindaco era formato da quattro partiti: Pd, Sel, Idv e Psi. C’era l’ambizione di aprire a esperienze civiche e ai moderati, c’erano spinte da parte di alcuni democratici all’apertura all’Udc ma il baricentro era chiaro. La seconda è che l’Udc nazionale punta a decidere la sua collocazione un minuto dopo il voto, quello regionale – sulla spinta del vicepresidente uscente della giunta Luciano Ciocchetti – è nel centrodestra, mentre a livello comunale (soprattutto tra quelli che stanno all’opposizione di Alemanno) in molti guardano a sinistra. La terza è che il Messaggero, giornale vicinissimo a Casini, ha scelto (per ora) di sostenere Gianni Alemanno e di contrastare Nicola Zingaretti. La quarta è che le gerarchie cattoliche sono state decisive nella fine dell’esperienza Polverini. La quinta è che la candidatura (probabile) del cattolicissimo Andrea Riccardi scuoterà gli equilibri della politica romana.

IN QUESTO QUADRO CONFUSO e suscettibile di repentini cambiamenti (come dimostrano le ultime ore), per capire il destino dell’Udc bisogna rispondere essenzialmente a cinque domande. La prima: la chiesa cattolica decidendo la fine del governo di Renata Polverini che prospettiva politica ha dato all’impegno dei cattolici in politica nel Lazio e a Roma. La seconda: Nicola Zingaretti nella costruzione dell’alleanza regionale che lo sosterrà (la sua candidatura dovrebbe passare dalle primarie di coalizione) ha intenzione di ripartire dallo stesso perimetro politico che lo voleva sindaco? La terza: quando il segretario regionale del Pd Enrico Gasbarra (da sempre favorevole a costruire una coalizione con i casiniani) dice durante la direzione regionale “Vi chiedo mandato per proporre alla coalizione di opposizione di poter mettere a disposizione” la risorsa Zingaretti “che puo’ guidare il nuovo percorso di cambiamento” si riferisce all’opposizione di Renata Polverini (e quindi non all’Udc) o all’opposizione di Gianni Alemanno (e quindi anche all’Udc)? La quarta: quanto la definizione della candidatura di Andrea Riccardi passa dalle gerarchie cattoliche e quanto dal governo Monti? La quinta: le primarie saranno ancora lo strumento per scegliere il candidato a sindaco del centrosinistra?

E’ SCIOGLIENDO QUESTI NODI (per nulla semplici) che si capirà dove andranno l’Udc e i pezzi della chiesa che non guardano direttamente al Pd. È sciogliendo questi nodi che il centrosinistra costruirà il suo futuro (e il rapporto con la sua gente), dal Comune alla Regione. Fino a Palazzo Chigi.

Zingaretti alla Regione e Riccardi al Campidoglio. Il risiko nel Pd e il rischio rottura a sinistra al Comune

Il presidente della Provincia viene spinto verso la poltrona della Polverini lasciando la sua corsa per il Campidoglio al ministro della Cooperazione. Un quadro complesso che diventa probabile se alla Regione si voterà a dicembre. Cambiano gli equilibri, il centrosinistra si sposta verso l’ala moderata e a sinistra si va verso la rottura che porterebbe alla candidatura a sindaco dell’assessore provinciale Massimiliano Smeriglio. Oggi la direzione regionale del Pd e sabato l’assemblea nazionale con Bersani. Dentro questo arco di tempo si gioca una partita che riguarda i romani e i cittadini del Lazio. Ma che ha anche importanti risvolti nazionali. E Alemanno: “Non mi dimetto, hanno paura di me”

A Nicola Zingaretti viene chiesto il sacrificio di mollare l’ormai avviatissima corsa al Campidoglio per candidarsi a presidente della Regione, al ministro Andrea Riccardi che non ne vuole sapere di fare il governatore viene proposta l’opzione sindaco. Su questo schema si lavora dentro un pezzo significativo del Pd per comporre il quadro in vista delle elezioni comunali e regionali (tenendo l’occhio puntato sugli assetti del governo nazionale).

ZINGARETTI – A poche ore da una delicatissima direzione regionale del democratici, la situazione è molto complessa (c’è da decidere anche su eventuali ricandidature dei consiglieri regionali uscenti) e soltanto Nicola Zingaretti potrebbe sciogliere alcuni dei moltissimi nodi. La candidatura del presidente della Provincia, infatti, è il nome che potrebbe ridimensionare le ambizioni dei tantissimi che in queste ore ambiscono al posto di Renata Polverini e soprattutto è il nome che potrebbe trovare una quadra per portare il centrosinistra alla vittoria. Un’ipotesi “che si può valutare” soltanto se la data del voto è quella di dicembre. Una data che lo stesso Zingaretti ha invocato negli ultimi giorni (quando la sua candidatura non era ancora in campo, per la verità) di fronte allo sfascio del centrodestra. Se si vota presto, si ragiona in queste ore a Palazzo Valentini, e a “Nicola chiedono, cosa che non hanno ancora fatto, di risolvere un’emergenza” una sua candidatura potrebbe essere presa in considerazione, certamente “sarà valutata seriamente”.

LA DATA DELLE ELEZIONI – Naturalmente la data delle elezioni non è nella disponibilità del presidente della Provincia e neanche del Partito democratico che – ZIngaretti o no – continua a spingere per “fare presto”. La scelta sta invece nelle mani di Renata Polverini e del ministro dell’Interno Cancellieri. Sarà su questo binario che verrà presa la decisione. E c’è da giurare che la governatrice premerà per una data che sia la più congeniale possibile per il suo futuro politico (che sarà nazionale ma non si capisce bene ancora dentro quale quadro e dentro quali equilibri). E la Cancellieri nella scelta finale dovrà tenere conto sia delle esigenze di bilancio (l’election day consente un consistente risparmio economico) sia delle esigenze politiche dei vari schieramenti in campo.

IL COMUNE – In questo quadro entra in gioco anche il ministro della Cooperazione Andrea Riccardi. Da giorni il centrosinistra cerca di coinvolgerlo per candidarlo alla poltrona di governatore del Lazio. Lui in tutte le salse ha fatto sapere di non essere interessato: pare non abbia nessuna intenzione di occuparsi della patata bollente sanità. Ma nel Pd e nel mondo della chiesa che guarda al centrosinistra non hanno perso le speranza e allora è partita l’offensiva che potrebbe portare il leader della comunità di Sant’Egidio verso una candidatura al Campidoglio. Una ipotesi che Riccardi – con atteggiamento da politico navigato – invece non ha mai smentito categoricamente. E una ipotesi che si rende possibile se, e solo se, Nicola Zingaretti metterà da parte il lavoro compiuto negli ultimi quattro anni (da sempre praticamente lavora per diventare sindaco) e si tufferà a capofitto verso la Regione.

UNA SCELTA CHE CAMBIA GLI EQUILIBRI – La coppia Zingaretti alla Regione e Riccardi al Comune non è senza conseguenze politiche, naturalmente. Riccardi – all’interno di un quadro complesso che guarda al mondo della chiesa cattolica e al governo di Mario Monti – è un nome che rimette in discussione gli equilibri. A tutti i livelli. Cosa farà l’Udc, seppure reduce dall’esperienza nel governo Polverini? E se dovesse sostenere l’ipotesi di centrosinistra (ma più spostata al centro rispetto a Zingaretti) al Campidoglio sarebbe poi più complicato per Casini spiegare per quale ragione non costruisce un asse di ferro anche sulla Regione e soprattutto a livello nazionale (nonostante il botta e risposta di ieri con Bersani). In pratica lo schema su cui lavora sin dal primo giorno Massimo D’Alema, un pezzo dei veltroniani, e tutta l’area di Fioroni ed Enrico Letta. In queste ore, se non dovesse accettare Riccardi, anche per il Comune si fanno i nomi di Roberto Morassut e Giovanna Melandri (entrambi veltroniani).

LA ROTTURA A SINISTRA – Un quadro che cambia le relazioni anche a sinistra. La candidatura di Nicola Zingaretti al Comune è servita in questi anni a costruire un quadro di centrosinistra chiaro (e in fondo anomalo e in discontinuità rispetto al quadro nazionale sempre più nebuloso) e appena una settimana fa i segretari romani di Pd, Sel, Idv e Psi avevano annunciato in pompa magna la definizione del quadro dell’alleanza. Non solo: ancora stamattina i dirigenti romani del centrosinistra lavoravano alla definizione delle primarie convocate per il 26 gennaio. Se davvero Zingaretti andrà alla Regione diventa probabile una rottura con l’ala sinistra della coalizione sul Campidoglio. “Non staremo mai in un alleanza con il ministro Riccardi candidato sindaco. Questo significherebbe la riproposizione del ‘montismo’ a Roma, una prospettiva politica che Sel non può accettare. IN questo caso, dunque, presenteremo un candidato nostro”, dice il dirigente di Sel Gianluca Peciola. E subito prende quota la candidatura a sindaco dell’assessore provinciale al Lavoro Massimiliano Smeriglio, uomo forte di Sel, che è tra i maggiori sostenitori dell’ipotesi Zingaretti. E che potrebbe raccogliere con sé larga parte della coalizione di partiti e soggetti sociali che stavano dentro la cosiddetta “coalizione Acea” che s’era battuta (vincendo) contro la privatizzazione dell’acqua in città.

L’INCOGNITA ALEMANNO – In questo quadro complesso, un ruolo centrale lo gioca – seppure indirettamente – il sindaco Gianni Alemanno. Che ha grandi difficoltà ad approvare il bilancio e che vorrebbe l’election day tra Comune e Regione. Così in queste ore prende quota (e viene smentita senza troppa convinzione) l’ipotesi che Alemanno scelga di dimettersi e di favorire le elezioni anticipate anche al Comune. Una valutazione tutta politica e di coalizione (quale?). Da cui però dipende in parte anche il destino del centrosinistra. “Dopo il mercoledì delle ceneri stanno inventando il mercoledì delle mie dimissioni – dice il sindaco Alemanno – ribadisco che non è vero, e che i rappresentanti del centrosinistra e tutte le persone che cercano di smontare la mia candidatura hanno solo paura. La mia impressione sincera è che quasi si teme che io arrivi fino in fondo e quindi si fa di tutto per scongiurare la mia candidatura”. “In caso di election day anticipato, le emergenze diverrebbero due: regione e comune. A quel punto, Zingaretti potrebbe continuare la sua corsa al Campidoglio e si riaprirebbe la partita Regione. Le prossime ore sono decisive. “Entro venerdì” si dovrebbe capire il destino di Zingaretti e del centrosinistra. Anche perché sabato c’è l’assemblea nazionale del Pd. E tutte le tessere del mosaico dovranno trovare posto. O per il centrosinistra, che finora aveva ipotecato la doppietta di vittorie, saranno guai.